Scoperti nuovi fattori di rischio: il colesterolo “cattivo” nella mezza età e la perdita della vista non trattata in età avanzata. Le raccomandazioni della Sin per ridurre il rischio di demenza
“Negli ultimi anni diversi studi hanno sottolineato come lo sviluppo di una demenza e soprattutto della Malattia di Alzheimer non sia inevitabile. Infatti, intervenire sui fattori di rischio modificabili, a partire dall’infanzia e continuando per tutta la vita, potrebbe prevenire o ritardare di molti anni quasi la metà dei casi di demenza”. È un messaggio di speranza quello lanciato dalla Società Italiana di Neurologia (Sin), a pochi giorni dalla Giornata Mondiale dell’Alzheimer, che si celebra il 21 di settembre ed in vita della riunione del G7 sulle demenze prevista ad Ancona l’8 di ottobre. “Anche se in Italia le persone vivono più a lungo e a parità di età si ammalano meno rispetto a 30 anni fa, il numero di persone affette da demenza è destinato ad aumentare in virtù dell’invecchiamento della popolazione. Ciononostante – sottolineano i neurologi della Sin – il potenziale per prevenire e gestire meglio la demenza è elevato se si interviene per contrastare i fattori di rischio, anche nelle persone con un elevato rischio genetico di demenza.
Sulla base di recenti prove, sono stati individuati due nuovi fattori di rischio: elevati di lipoproteine a bassa densità (LDL) o colesterolo “cattivo” nella mezza età e la perdita della vista non trattata in età avanzata. Questi nuovi fattori di rischio si aggiungono ai fattori di rischio precedentemente identificati dalla Lancet Commission nel 2020 (bassi livelli di istruzione, problemi di udito, ipertensione, fumo, obesità, depressione, inattività fisica, resistenza all’insuline e diabete, consumo eccessivo di alcol, traumi cranici, inquinamento atmosferico e isolamento sociale), che sono collegati al 40% di tutti i casi di demenza. Oltre a questi, tuttavia, devono essere tenuti in considerazione anche la contaminazione e sofisticazione degli alimenti, le alterazioni del microbiota intestinale e orale, i disturbi del sonno, le infezioni da HSV e probabilmente l’invecchiamento immunitario o immunosenescenza. Alla luce di queste evidenze scientifiche, la Sin chiede ai governi e alla società di “impegnarsi nell’affrontare i rischi della demenza nel corso della vita, sostenendo che una azione di promozione a favore della Prevenzione primaria e secondaria rappresenta la vera arma per vincere la sfida con le demenze, incrementando nello stesso tempo i sostegni socio-sanitari a favore dei malati e dei loro familiari£
A causa del rapido invecchiamento della popolazione in Italia, si prevede che il numero di persone affette da demenza quasi triplicherà entro il 2050, passando da 1,2 milioni nel 2019 a oltre tre milioni, con costi stimati diretti e indiretti 23 miliardi a più di 60 miliardi di euro. L’aumento dell’aspettativa di vita inoltre determinerà un aumento delle persone affette da demenza nei paesi a basso reddito e in povertà. Tuttavia, anche nel nostro Paese, la percentuale di anziani affetti da demenza è diminuita, in particolare tra coloro che vivono in aree avvantaggiate dal punto di vista ambientale e dal punto di vista socio-economico. Il calo delle persone che sviluppano demenza è probabilmente dovuto in parte alla resilienza cognitiva e fisica e a un minor danno vascolare come risultato di miglioramenti nell’assistenza sanitaria e nei cambiamenti nello stile di vita, dimostrando l’importanza di implementare approcci di prevenzione il prima possibile. “Per ridurre il rischio di Alzheimer può e deve essere fatto molto di più – afferma Alessandro Padovani, Presidente della Sin -. Abbiamo prove convincenti del fatto che un’esposizione più lunga ai diversi fattori di rischio ha un effetto maggiore e che i rischi agiscono maggiormente nelle persone vulnerabili. Ecco perché è fondamentale incentivare gli sforzi preventivi verso coloro che ne hanno più bisogno, compresi coloro che vivono in aree a basso e medio reddito e nei gruppi socio-economicamente svantaggiati. É un compito che riguarda tutti e che deve mirare a ridurre le disuguaglianze di rischio rendendo gli stili di vita sani il più possibile raggiungibili per tutti”.
Queste azioni sono particolarmente importanti alla luce delle nuove prove che dimostrano che la riduzione dei rischi di demenza non solo aumenta gli anni di vita in buona salute, ma riduce anche il tempo che le persone che sviluppano demenza trascorrono in cattiva salute, a supporto della necessità di una diagnosi precoce e di interventi di prevenzione secondaria.
“Uno stile di vita sano – prosegue Alessandro Padovani – che preveda esercizio fisico regolare, non fumare, un sonno regolare, fornire stimoli cognitivi e mentali anche al di fuori dell’istruzione formale e che eviti un uso eccessivo di sostanze alcoliche e favorisca un’alimentazione equilibrata ricca in verdure e frutta, non solo è in grado di ridurre il rischio di demenza, ma può anche ritardarne l’insorgenza così come rallentarne il decorso. Ciò ha enormi implicazioni sulla qualità della vita per gli individui e benefici in termini di risparmio sui costi per le società”. L’Italia potrebbe in questo modo ottenere in 20 anni risparmi sui costi attuali pari a circa 10 miliardi di euro da destinare alla realizzazione di attività di sostegno ai malati e ai familiari. In uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet Healthy Longevity Naaheed Mukadam (UCL Psychiatry) e i coautori hanno modellato l’impatto economico dell’implementazione di alcune di queste raccomandazioni, usando l’Inghilterra come esempio. I risultati dello studio suggeriscono che l’uso di interventi a livello di popolazione di nota efficacia per affrontare i fattori di rischio della demenza potrebbe avere un profondo effetto sulla prevalenza della demenza e sulle disuguaglianze, nonché significativi risparmi sui costi. Proprio per sensibilizzare la popolazione sulla Malattia di Alzheimer, a partire da sabato 21 settembre sui canali social ufficiali della Società Italiana di Neurologia verranno pubblicate delle video pillole in risposta ad alcune delle domande ricevute dagli utenti.
La Sin chiede anche un maggiore supporto per le persone affette da demenza e le loro famiglie. In molte regioni e in molte aree del nostro Paese, gli interventi efficaci che si sa possano giovare alle persone affette da demenza non sono ancora disponibili o non sono una priorità. Allo stesso modo, le esigenze di molti caregiver non sono adeguatamente considerate e soddisfatte. Sarebbe importante fornire interventi di coping per i familiari che prestano assistenza e che sono a rischio di depressione e ansia, garantendo oltre ad agevolazioni e supporti economici, anche supporto emotivo, pianificazione per il futuro e informazioni sulle risorse mediche e socio-sanitarie. A maggior ragione, è quanto mai necessario promuovere azioni concertate a sostegno delle persone sole e isolate così come di tutte le persone fragili, data l’evidenza che queste sono a maggior rischio di sviluppare la Malattia di Alzheimer. “Per dare la piena attuazione alle azioni sopradescritte è necessario creare una migliore organizzazione dei servizi per la demenza a livello dei distretti sanitari – sostiene Camillo Marra, presidente delle Sindem (associazione autonoma aderente alla SIN per le demenze) – allo scopo di mettere in rete tutte le competenze presenti a livello territoriale dando piena attuazione a quelli che sono i dettami del DM77. La creazione di PDTA locali potrà facilitare l’accesso dei pazienti in fase più precoce di malattia e permettere quelle politiche di stratificazione del rischio e screening di popolazione propedeutiche alla attuazione di programmi di prevenzione e presa in carico precoce dei pazienti e dei caregiver”.
Nell’ambito della ricerca, la SIN chiede una maggiore integrazione tra le diverse Istituzioni nazionali e regionali al fine di accedere a finanziamenti Europei per incentivare la ricerca di base, traslazionale e epidemiologica nel nostro paese, già tra i primi al mondo per quanto riguarda gli studi su Alzheimer e Demenze. Ancora molto deve essere fatto per comprendere i diversi meccanismi che favoriscono le malattie del cervello e ad oggi non abbiamo una terapia miracolosa in grado di impedire lo sviluppo della Malattia di Alzheimer né di bloccare la Malattia. Ci sono diverse evidenze a supporto del fatto che essa può essere rallentata con farmaci che in Europa non sono ancora autorizzati, soprattutto se diagnosticata precocemente, ma dobbiamo fare di più per garantire cure efficaci e sicure e soprattutto per sostenere la creazione di reti regionali che permettano di avere registri di patologia.
Infine, la SIN richiama l’attenzione sul ruolo fondamentale che il cinema può svolgere nella sensibilizzazione e nella comprensione dell’Alzheimer. I film riescono a trasmettere l’impatto emotivo della malattia sia su chi ne è affetto, sia sui loro cari. Vedendo i protagonisti affrontare la progressiva perdita di memoria e identità, il pubblico sviluppa empatia, capendo in modo profondo come l’Alzheimer influisca sulla vita quotidiana.
La SIN invita, quindi, la popolazione a guardare uno o più film dedicati a questo tema di cui ha preparato una lista consultabile al seguente link: https://www.neuro.it/web/procedure/contenuto.cfm?List=WsIdEvento,WsIdRisposta,WsRelease&c1=AGGCNGNEU&c2=190&c3=1
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