Advocacy e Associazioni 18 Settembre 2024 15:22

Storie di EPN: raccontare l’emoglobinuria parossistica notturna

L’Osservatorio delle Malattie Rare definisce l’EPN come una malattia rara e acquisita delle cellule staminali emopoietiche, caratterizzata da tre principali manifestazioni cliniche: anemia emolitica, frequenti eventi trombotici e insufficienza midollare

Storie di EPN: raccontare l’emoglobinuria parossistica notturna

L’emoglobinuria parossistica notturna (EPN) è una patologia rara, cronica e altamente invalidante. La diagnosi è allo stesso tempo semplice e complessa – sono sufficienti pochi esami specifici per effettuarla, ma il medico deve prima sospettare la presenza della malattia per prescriverli – e l’impatto dell’EPN sulla qualità della vita dei pazienti può essere significativo. Nella nuova puntata di “The Patient’s Voice”, il format di Sics e Popular Science che dà voce ai pazienti, si parla di EPN, delle terapie disponibili e del percorso di gestione della malattia, raccontato da chi l’ha vissuta in prima persona.

Sugli aspetti clinici sono intervenute Anna Paola Iori, Responsabile Clinico del Reparto Ambulatorio Trapianti della Divisione di Ematologia del Policlinico Umberto I di Roma e Alessandra Ricco, Dirigente Medico dell’Unità Operativa Complessa di Ematologia e Trapianto dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico di Bari. I pazienti Ovidio Sassi, in cura presso la dott.ssa Iori, e Felicia Labrile, in cura presso la dott.ssa Ricco, hanno condiviso la loro esperienza con la malattia.

Guarda la puntata

Cos’è l’EPN?

L’Osservatorio delle Malattie Rare definisce l’EPN come una malattia rara e acquisita delle cellule staminali emopoietiche, caratterizzata da tre principali manifestazioni cliniche: anemia emolitica, causata dalla distruzione prematura dei globuli rossi; frequenti eventi trombotici, dovuti alla formazione di piccoli coaguli nei vasi sanguigni, con riduzione del flusso di sangue verso organi e tessuti e insufficienza midollare. “Come chiarisce la definizione, non si tratta di una patologia trasmissibile ai figli”, rassicura la dott.ssa Iori, e spiega che le cellule staminali ematopoietiche, che presentano un difetto, sono ‘le madri’ di tutte le cellule del sangue: globuli rossi, globuli bianchi e piastrine.

Nel caso dell’EPN, il DNA di queste cellule risulta mutato, e a causa di tali mutazioni, le cellule figlie delle staminali sono prive di alcune proteine di superficie essenziali per le loro funzioni. I globuli rossi sono tra le cellule più colpite: quelli derivati dalle cellule ematopoietiche mutate mancano di due proteine che li proteggono dalle proteine del sistema del complemento, che fa parte del sistema immunitario. “Senza queste protezioni, i globuli rossi vengono distrutti dal sistema del complemento, causando anemia e favorendo l’insorgenza di eventi trombotici”, continua la dott.ssa Iori. “Può accadere anche che il midollo osseo funzioni in modo meno efficace, portando a valori ridotti di piastrine e globuli bianchi nell’emocromo”.

I sintomi

Spesso, il primo sintomo che porta i pazienti a consultare uno specialista è la stanchezza estrema. Come racconta Ovidio Sassi: “Nel 2002, durante una visita specialistica, il medico ha notato il mio pallore e il mio affaticamento. Mi sentivo sempre stanco, ma pensavo fosse dovuto al lavoro. Il medico mi ha subito fatto fare un emocromo, che ha mostrato valori bassissimi, e mi ha indirizzato al Pronto Soccorso per una trasfusione. Così è iniziato il mio percorso con l’EPN. Ho cominciato una terapia sotto la cura della dott.ssa Iori. Il primo farmaco non ha funzionato, ma la seconda terapia mi ha permesso di stare bene da circa un anno”.

La stanchezza è dovuta al ridotto apporto di ossigeno ai tessuti, come spiega la dott.ssa Ricco. “I globuli rossi trasportano l’ossigeno ai tessuti. Quando queste cellule sono poche, il paziente soffre di mancanza di ossigeno, con conseguenti affanno, stanchezza e fatigue (una particolare facilità all’affaticamento). La distruzione dei globuli rossi può anche causare una colorazione giallastra delle sclere. Altri sintomi includono aumento della temperatura, dolori lombari e addominali che spesso vengono inizialmente interpretati in modo errato”.

I sintomi possono anche essere legati alla trombosi. “L’EPN è uno dei principali fattori di rischio per trombosi”, precisa la dott.ssa Ricco. “La presenza di trombi in sedi atipiche, come il cervello e l’addome, può portare a conseguenze gravi e disabilità, che spesso sono il primo sintomo della malattia”.

Esami specifici per una diagnosi complessa

I sintomi descritti dalla dott.ssa Ricco possono essere associati a molte altre patologie comuni, per cui il medico deve essere allenato a riconoscere la possibile presenza di questa malattia rara. “Una volta sospettata l’EPN, vengono eseguiti esami di laboratorio molto sensibili e specifici, che ci permettono di arrivare a una diagnosi certa”, continua la dott.ssa Ricco. “Il problema è che si tratta di una malattia molto rara, e se il clinico non la cerca, non la trova. Per questo motivo, un centro specializzato è meglio attrezzato per giungere a una diagnosi”. Una volta diagnosticata l’EPN, la gestione della malattia diventa multidisciplinare. “Oltre alle competenze ematologiche, sono necessarie quelle di altre figure professionali, come cardiologi, radiologi ed esperti di trombosi”.

L’EPN e altre malattie midollari

L’EPN può essere associata ad altre patologie del midollo osseo, come l’aplasia midollare, un difetto generalizzato nella capacità del midollo di produrre elementi cellulari. Questo è stato il caso di Felicia, a cui è stata diagnosticata l’EPN nel 2012. “Inizialmente i medici avevano rilevato una mielodisplasia, ma nel 2014 la situazione è peggiorata e mi è stata diagnosticata un’aplasia midollare. Sono stata sottoposta a un dosaggio maggiore di farmaci e a trasfusioni”, racconta la paziente. Come dimostra il caso di Felicia, spesso è necessario procedere per tentativi prima di individuare la terapia più efficace per ciascun paziente. “Quando sono passata sotto la cura della dott.ssa Ricco, ho cambiato terapia e mi è stato proposto un farmaco somministrato in ospedale ogni 15 giorni. Dopo un periodo di benessere, la mia situazione è peggiorata nuovamente. Successivamente, mi è stato proposto un nuovo farmaco, utilizzato da pochi pazienti in Italia, e da quando ho iniziato questa nuova cura, la qualità della mia vita è migliorata molto”.

L’impatto della malattia sulla qualità della vita

La qualità della vita è un aspetto fondamentale da considerare nella definizione di un percorso terapeutico. In base alle manifestazioni dell’EPN, l’impatto sulla vita dei pazienti può variare notevolmente. “In alcuni casi, il midollo osseo è in grado di compensare così bene il difetto che il paziente non necessita di alcun trattamento”, spiega la dott.ssa Ricco. “Tuttavia, nella maggior parte dei casi, la malattia colpisce giovani adulti, persone dinamiche con impegni lavorativi e familiari. Se manifestano sintomi, l’EPN ha un impatto significativo sulla loro vita: devono subordinare aspirazioni e desideri alle necessità imposte dalla malattia. L’EPN comporta controlli frequenti e terapie da seguire per tutta la vita. Se la malattia esordisce con un evento trombotico grave, la qualità della vita sarà determinata dalle conseguenze dell’evento stesso, come disabilità cerebrale o ridotta funzionalità degli organi interni”.

I farmaci che hanno rivoluzionato l’aspettativa di vita

Esistono diversi farmaci per il trattamento dell’EPN, tutti appartenenti alla classe degli inibitori del complemento (che, come abbiamo accennato, sono il gruppo di proteine del sistema immunitario che, nella malattia, provocano la rottura dei globuli rossi). “La ricerca scientifica e la farmacologia hanno trasformato l’aspettativa e la qualità della vita dei pazienti”, osserva la dott.ssa Ricco. “Prima dell’introduzione degli inibitori del complemento, l’aspettativa di vita per i pazienti con EPN era di circa 10 anni. La principale causa di morte erano le complicanze trombotiche, mentre la distruzione dei globuli rossi causava problemi come disfagia o disfunzione erettile. Oggi, l’aspettativa di vita è sovrapponibile a quella della popolazione generale”.

Attualmente, una donna affetta da EPN può portare avanti una gravidanza con il giusto supporto medico, cosa che prima dell’avvento di questi farmaci era impensabile.

Gli inibitori del complemento

La dott.ssa Iori spiega nel dettaglio come funzionano i farmaci inibitori del complemento. “L’EPN è dovuta a un difetto dei globuli rossi, ma visto che noi non possiamo agire su queste cellule, con i farmaci blocchiamo l’attività del complemento, quindi di quel sistema di enzimi che si attivano a cascata per difenderci dalle infezioni”. Le proteine del complemento circolano nel sangue in forma inattiva e vengono attivate in risposta a infezioni o lesioni. Una volta attive legano la superficie dei patogeni facilitandone la distruzione da parte del sistema immunitario. Nell’EPN i globuli rossi, come abbiamo visto, mancano di proteine di superficie necessarie a difendersi dagli enzimi del complemento e vengono distrutti. “Tutti i farmaci che abbiamo a disposizione bloccano le proteine del complemento, alcuni bloccano la cascata di attivazione alla fine (agiscono quindi sugli ultimi enzimi che vengono attivati), altri la bloccano a monte (agiscono sui primi enzimi della cascata). Nel primo caso parliamo di farmaci che bloccano il fattore C5 del complemento, nel secondo di farmaci che bloccano il fattore C3 del complemento. Altri farmaci agiscono ancora più a monte, proprio all’inizio della catena, inibendo i fattori B e D del complemento”. I primi farmaci prodotti bloccavano il C5. Tuttavia, come spiega Iori, “bloccare il C5 in alcuni pazienti può comportare un accumulo sul globulo rosso delle proteine a monte della cascata del complemento. I globuli rossi sovraccarichi di fattore C3 vengono sequestrati da fegato e milza e distrutti in una forma di emolisi diversa da quella tipica della malattia e che definiamo emolisi extravascolare”. In questi casi bisogna cambiare terapia, scegliendo farmaci che agiscono a monte.

Terapia su misura

Come precisa Ricco, le terapie a disposizione, presentano modalità e tempistiche di somministrazione diverse, a seconda di quale molecola della cascata colpiscono. Anche sulla base delle caratteristiche dei farmaci, il percorso terapeutico deve essere scelto dal medico e dal paziente, in base agli obiettivi terapeutici e alle esigenze del paziente.

Come un sarto, il medico cerca di cucire una terapia su misura per il paziente, dice Ricco. “Disegniamo il trattamento in base alle caratteristiche patologiche, all’età del paziente, alla presenza di patologie concomitanti, ma anche in base alle idiosincrasie della persona: alcuni pazienti hanno paura degli aghi, altri non riescono a deglutire le compresse; alcuni preferiscono la somministrazione ambulatoriale, altri la domiciliare; alcuni sono attratti dalle novità, altri ne sono spaventati”. La decisione di cambiare farmaco dipende naturalmente da come il paziente reagisce alla terapia obiettivamente; quindi, dagli esami di laboratorio, ma anche da come il paziente si sente soggettivamente. “La qualità della mia vita è molto migliorata da quando ho cambiato farmaco: prima non riuscivo a fare nulla, ora ho ricominciato ad andare in bici”, dice Ovidio.

Ma margini di miglioramento nella gestione di questa patologia ci sono e a chiederli sono proprio i pazienti. La speranza di Ovidio è che la ricerca scientifica porti allo sviluppo di farmaci dalla somministrazione più agile, mentre Felicia vorrebbe che venisse implementato un canale prioritario per permettere ai malati di effettuare gli esami in tempi celeri ed evitare le lunghe liste di attesa.

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