Fazzi (Sinpia): “I meccanismi per mantenere l’attenzione che funzionavano venti anni fa non possono più funzionare ora. Dobbiamo adeguarci al cambio di paradigma, puntando ad una minor invasività dei dispositivi digitali nella nostra vita e a lavorare sull’apprendimento cooperativo, che stimola le emozioni”
Sono troppo stimolati, poco motivati o non dormono a sufficienza? Qualunque sia la ragione, una cosa è certa: i bambini che oggi si trovano in età scolare sono sempre più a rischio di sviluppare problemi di attenzione. “Non bisogna esagerare con l’apprensione, ma neanche sottovalutare il problema”, dicono gli esperti della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Sinpia), riuniti a Verona in occasione del trentesimo congresso nazionale della Società Scientifica. “I meccanismi per mantenere l’attenzione che funzionavano venti anni fa non possono più funzionare ora. Dobbiamo adeguarci al cambio di paradigma, puntando ad una minor invasività dei dispositivi digitali nella nostra vita e a lavorare sull’apprendimento cooperativo, che stimola le emozioni”, chiarisce Elisa Fazzi, presidente Sinpia e direttore della Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza presso l’Asst Spedali Civili di Brescia (nella foto).
Attenzione, però, a non confondere un disturbo vero e proprio con un ‘problema’. “Un conto – spiega Massimo Molteni, responsabile di psicopatologia dello sviluppo dell’Irccs Eugenio Medea di Lecco e membro Sinpia – è parlare di Deficit di attenzione e iperattività (Adhd), una condizione che ha caratteristiche precise e stime di prevalenza pari al 2-4% dei bambini, secondo gli studi italiani. Questa richiede la presa in cura da parte di uno specialista e adeguate terapie in relazione alla gravità”. Un altro conto è parlare di problemi di attenzione: “la difficoltà a mantenere l’attenzione – precisa l’esperto Sinpia – è un problema sempre più diffuso in tutte le fasce di età, ma tra i bambini in fase di apprendimento può avere conseguenze più serie”. In questo caso i fattori esterni hanno un peso significativo. “Ad esempio l’uso di dispositivi digitali, social media e videogiochi porta a un’attenzione limitata nel tempo e continuamente spostata da un segmento all’altro”. Il primo consiglio è quindi quello di limitare l’esposizione dei bambini, ma i genitori dovrebbero anche ridurre il tempo che loro stessi impiegano in questo modo. Tablet e smartphone vanno usati meno di fronte ai figli”. Una carenza di attenzione può dipendere però anche dalla motivazione. “Sottovalutiamo – osserva Molteni – che nei bambini la vita motivazionale è centrale. La mancanza di motivazione è legata al fatto che le proposte degli adulti spesso sono poco attrattive rispetto a quello che avrebbero sul web e i social, dove tutto viaggia veloce: quando sono posti di fronte a testo scritto e a uno stimolo unico, l’attenzione diventa labile. Questo può diventare un ostacolo per il rendimento scolastico”. Il consiglio, in questo caso, è quello di “aumentare esperienze con attività mirate all’apprendimento cooperativo, dove il valore aggiunto è il gruppo: in questo contesto l’attenzione si amplia e la competizione, che è preponderante nei social, diminuisce”.
“A pesare è anche la mancanza di sonno”, aggiunge Oliviero Bruni, professore ordinario di neuropsichiatria infantile, Ospedale Sant’Andrea, Roma e Università Sapienza e membro Sinpia. Quindi di sera tutte le attività stimolanti, specie a livello visivo, vanno eliminate perché peggiorano qualità e quantità del sonno. I disturbi del sonno incidono per circa il 30% nell’infanzia, per il 10% in età scolare e aumentano nuovamente intorno al 20-30% in adolescenza, secondo recenti evidenze scientifiche. I disturbi del sonno in età evolutiva cambiano con l’età sia dal punto di vista della tipologia del disturbo che della prevalenza. “I primi tre anni di vita sono caratterizzati fondamentalmente dall’insonnia, cioè da continui risvegli notturni e difficoltà di addormentamento – spiega il professore Bruni -. Successivamente, verso l’età da prescolare a scolare iniziano le cosiddette parasonnie come i terrori notturni, il sonnambulismo o i risvegli confusionali. In adolescenza, il problema cambia e possono aumentare i cosiddetti disturbi del ritmo circadiano che si manifestano nel caso degli adolescenti che vanno a letto tardi la sera, la mattina non riescono a svegliarsi dormono fino al primo pomeriggio e poi di nuovo la sera non hanno sonno e si addormentano sempre più tardi. Si assiste, quindi, ad un’alterazione dei ritmi sonno-veglia, un circolo vizioso che può determinare problematiche importanti anche sul rendimento scolastico e addirittura l’abbandono della scuola”. Da considerare che non tutte le insonnie sono di tipo “comportamentale” ma, molto spesso, può coesistere una componente genetica: i bambini non sono tutti uguali, alcuni sono più predisposti degli altri e hanno una maggiore facilità a svegliarsi. “Vanno considerati fattori allergici, oppure carenza di ferro o di vitamina D – commenta l’esperto Sinpia – . L’alterazione del sonno può avere quindi componenti ambientali-comportamentali o di tipo genetico. Raccomandiamo sempre ai genitori il controllo del sonno dei propri figli: i genitori di oggi devono essere i guardiani del loro sonno dall’infanzia fino all’adolescenza”.
Il 30-40% dei soggetti in età pediatrica che riceve una diagnosi di Disturbo di Spettro Autistico (ASD) ne riceve anche una di disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (Adhd). Nonostante i sistemi categoriali come il DSM-5 (manuale diagnostico e statistico pubblicato dall’American Psychiatric Association, APA, 2013) li considerino disturbi distinti, il substrato genetico, i tratti neuropsicologici e molte delle manifestazioni fenotipiche sono sovrapposte. “In entrambi i disturbi è possibile trovare deficit dell’attenzione e atipie comportamentali, comprese impulsività e iperattività – spiega la professoressa Antonella Gagliano, dell’ U.O.C. Neuropsichiatria Infantile, Università di Messina, membro Sinpia-. In entrambi i disturbi sono rilevabili deficit delle capacità sociali, soprattutto difficoltà nel comprendere gli indizi sociali, mantenere i turni conversazionali e gestire adeguatamente le relazioni con i pari. In entrambi i disturbi le strategie di regolazione emozionale sono meno efficienti di quelle dei soggetti neurotipici con conseguente presenza di elevati livelli di disregolazione emozionale (ER) e di comportamenti maladattivi ad essa correlati. Prima della pubblicazione del DSM-5 la doppia diagnosi non era formalmente consentita. Ciò ha comportato un grave ritardo nell’avvio della ricerca clinica sul fenotipo ASD/Adhd e, conseguentemente, il mancato trattamento dei sintomi Adhd nella popolazione dei soggetti con ASD. Negli ultimi anni, invece, si è compreso che i sintomi dell’Adhd (inattenzione e iperattività/impulsività) possono rappresentare un target terapeutico privilegiato anche nei soggetti con ASD data la disponibilità di trattamenti farmacologici efficaci, e la mancanza di trattamenti specifici di provata efficacia sui sintomi core dell’ASD. Ridurre la componente iperattiva/impulsiva e l’inattenzione può essere, infatti, di grande giovamento nella popolazione dei soggetti con disturbo dello spettro autistico – ASD. Questo perché la presenza delle dimensioni patologiche proprie dell’Adhd, all’interno del fenotipo ASD, porta ad un importante peggioramento della qualità di vita e riduce significativamente il funzionamento adattivo”, conclude la specialista.
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