Una nuova
meta-analisi condotta su 29mila donne dalla Drexel University College of Medicine di Philadelphia, appena presentata al
congresso della Menopause Society di Chicago, ha dimostrato che la
terapia ormonale sostitutiva (TOS) in menopausa può contribuire a ridurre il rischio di
insulino-resistenza e i disturbi metabolici che, a loro volta, sono legati a un aumento della fragilità ossea e del rischio cardiovascolare. “Dopo numerose revisioni e recenti studi è ora di fare chiarezza sul fatto che la TOS è una
risorsa preziosa, quando usata appropriatamente, per ridurre i
sintomi della menopausa, con un’azione protettiva a lungo termine sulle malattie cardiache e metaboliche e sullo sviluppo di
osteoporosi“, commenta
Gianluca Aimaretti, presidente della Società Italiana di Endocrinologia (SIE) e direttore del Dipartimento di Medicina Translazionale (DiMET) dell’Università del Piemonte Orientale.
Su oltre 10 milioni di donne in menopausa solo il 4% assume la terapia ormonale
“Per molti anni, le donne e gli
operatori sanitari hanno evitato la
terapia ormonale per timore che potesse aumentare il rischio di
tumore alla mammella, ma se assunta sotto controllo medico, personalizzata e costantemente monitorata, non bisogna averne paura”, spiega Aimaretti. “Tuttavia, in Italia, su oltre 10 milioni di
donne in menopausa, appena il 4-5% ne fa uso”, aggiunge. “Oggi le donne trascorrono in menopausa circa un terzo della loro esistenza e, tenuto conto che la loro
aspettativa di vita è di circa 85 anni, mentre l’età media della menopausa è 52, il mancato trattamento con le tante soluzioni disponibili significa costringerle a trascorrere 30 anni o più con una
qualità di vita non ottimale e un rischio elevato di malattie cardiache, metaboliche e ossee”, aggiunge.
Terapia con estrogeni più efficace contro l’insulino-resistenza
Nella nuova
meta-analisi che ha coinvolto più di 29mila partecipanti con un’età compresa tra i 47 e i 75 anni, tra il 1998 e il 2024, è stato scoperto che la terapia ormonale ha ridotto significativamente la resistenza all’insulina nelle donne sane in postmenopausa senza
malattie metaboliche, tra cui diabete,
ipertensione e malattie cardiovascolari. Nello studio sono stati confrontati i dati di 15.350 donne che hanno ricevuto la terapia ormonale, a base sia di solo estrogeni che di estrogeni più progestinici, con quelli di 13.937 donne a cui è stato somministrato un placebo. La
durata del trattamento variava da otto settimane a due anni. “Lo studio ha dimostrato che entrambi i tipi di terapia ormonale hanno ridotto significativamente la resistenza all’insulina nelle donne sane in postmenopausa, sebbene l’uso di soli estrogeni sia stato associato a una riduzione più evidente rispetto a una
terapia ormonale combinata“, spiega Aimaretti.
L’estrogeno migliora la sensibilità all’insulina
“Questo potrebbe dipendere dal fatto che l’estrogeno ha la capacità di migliorare la sensibilità all’insulina nei muscoli e nel grasso, aiutando le cellule a rispondere meglio ad essa”, dichiara lo specialista. “Può anche ridurre il grasso viscerale, che è notoriamente associato alla resistenza all’insulina. Inoltre, l’estrogeno è un antinfiammatorio ed è in grado di abbassare i livelli di acidi grassi liberi circolanti, che determinano la disfunzione e la morte delle cellule beta pancreatiche deputate alla produzione dell’ormone”, aggiunge. Il nuovo studio quindi conferma che la terapia ormonale, oltre al trattamento dei sintomi della menopausa che possono minare significativamente la qualità della vita di una donna, può avere un ruolo chiave anche nella riduzione della resistenza all’insulina e, di conseguenza, di tutti i problemi di salute a essa associati.
In arrivo nuovi farmaci non ormonali contro la menopausa
Nel frattempo la
ricerca scientifica sta producendo nuove
soluzioni terapeutiche per le donne che non possono assumere la terapia ormonale, come ad esempio le pazienti oncologiche. “Di recente l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) ha
approvato Fezolinetant, terapia orale non ormonale, che agisce bloccando le neurochinine B, molecole che regolano la
temperatura corporea a livello cerebrale e riducono il numero e l’intensità delle vampate di calore e delle sudorazioni notturne, spiega
Linda Vignozzi, ordinaria di Endocrinologia all’Università di Firenze. “Agisce in modo simile anche Elinzanetant, farmaco ancora sperimentale, che ha dimostrato un rapido miglioramento dei sintomi, con benefici evidenti entro la prima settimana di trattamento. È opportuno, però, precisare che si tratta di
opzioni terapeutiche di trattamento della sola sintomatologia, che non hanno, dunque, effetti protettivi a lungo termine sulla salute della donna in generale”, aggiunge.