I pazienti potrebbero trarre beneficio se i medici smettessero di chiamare “cancro” alcune alterazioni della prostata in fase iniziale e sostanzialmente innocue. Lo sostiene uno studio pubblicato sul Journal of the National Cancer Institute
I pazienti potrebbero trarre beneficio se i medici smettessero di chiamare “cancro” alcune alterazioni della prostata in fase iniziale. Lo sostiene uno studio guidato da Matthew Cooperberg dell’Università della California di San Francisco e pubblicato sul Journal of the National Cancer Institute. Il tumore alla prostata è la seconda causa di morte per cancro negli uomini a livello mondiale, ma i pazienti che ricevono una diagnosi sono molto più numerosi di quelli che muoiono a causa della malattia.
Nel 2022 si sono registrati quasi 1,5 milioni di casi di cancro alla prostata, ma solo 400.000 decessi. Il tumore alla prostata di basso grado, comunemente noto come GG1, praticamente non dà mai metastasi né provoca sintomi. Per questo ci si è chiesti se fosse un vantaggio per la salute pubblica chiamare il GG1 con un nome diverso da cancro. Per approfondire questa discussione, i ricercatori hanno convocato un simposio internazionale con partecipanti provenienti da diversi settori, tra cui la difesa dei pazienti. Le considerazioni principali hanno riguardato l’altissimo tasso di GG1 rilevabile negli studi autoptici, l’attenzione dei test diagnostici a rilevare tumori di grado più elevato, i vantaggi di relegare il GG1 a qualcosa di più simile allo status di “incidentaloma”, gli effetti negativi sulla salute del sovratrattamento e il peso psicologico di una diagnosi di cancro per i pazienti.
I partecipanti alla riunione hanno sottolineato che il GG1 è comune tra gli uomini anziani, ma non deve essere considerato normale. Secondo i ricercatori, i pazienti con questa condizione dovrebbero continuare a monitorarla con il proprio medico. Il timore è che i pazienti non si preoccupino di monitorare la progressione della condizione se il loro medico non usa la parola “cancro” per spiegare cosa sta succedendo. In definitiva, gli scienziati hanno sottolineato l’importanza dello screening, della diagnosi e del trattamento del tumore alla prostata per ridurre i tassi di mortalità, limitando al tempo stesso i danni derivanti da sovradiagnosi e sovratrattamento.
Cooperberg ritiene che una riconsiderazione della nomenclatura potrebbe essere un buon modo per contribuire a raggiungere questo obiettivo. “La parola ‘cancro’ ha risuonato nei pazienti per millenni come una condizione associata a metastasi e mortalità”, spiega Cooperberg. “Ora stiamo scoprendo cambiamenti cellulari eccezionalmente comuni nella prostata che in alcuni casi presagiscono lo sviluppo di un cancro aggressivo, ma nella maggior parte dei casi non lo fanno”, continua Cooperberg. “Dobbiamo assolutamente monitorare queste anomalie, indipendentemente da come le etichettiamo, ma i pazienti non dovrebbero essere gravati da una diagnosi di cancro se ciò che vediamo non ha alcuna capacità di diffondersi o di uccidere”, conclude.
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