Salute, benessere e prevenzione
i consigli quotidiani per vivere meglio.
In un’intervista a Sanità Informazione, il professor Marco Coassin parla di maculopatia, dalla diagnosi ai trattamenti di ultima generazione
Cos’è la maculopatia? Come possiamo imparare a riconoscerla? Come si diagnostica e, soprattutto, con quali trattamenti, anche chirurgici, si può curare? Ne abbiamo parlato con il professor Marco Coassin, direttore dell’Oftalmologia della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, in questi giorni protagonista ad AIMO, il Congresso nazionale dell’Associazione Italiana Medici Oculistici in programma nella capitale fino a domani. Proprio oggi, presso le sale operatorie del Policlinico Universitario romano, vengono eseguiti in diretta sei interventi sull’occhio eseguiti per illustrare alcune delle più recenti tecniche di chirurgia oculistica.
“Maculopatia – spiega il professore Coassin – è un termine generico che identifica tutte le malattie che colpiscono il centro della retina, ovvero la macula. La macula garantisce la visione centrale, la visione dei dettagli. Pertanto, ci permette di svolgere attività quotidiane essenziali come leggere e scrivere, riconoscere i volti e distinguere i particolari più minuti. Questa piccola ma cruciale area della retina è ricca di fotorecettori che trasformano la luce in segnali elettrici inviati al cervello. Quando la macula subisce un danno, la visione centrale risulta compromessa, portando a sintomi come sfocature, distorsioni e la comparsa di un’area centrale di non visione o ipovisione”. La maculopatia chi colpisce prevalentemente le persone sopra i 50 anni e, aggiunge lo specialista “diventa più comune con l’avanzare dell’età. I fattori di rischio includono predisposizione genetica, diabete, fumo e lunga esposizione ai raggi ultravioletti. La malattia può insorgere come patologia primaria o manifestarsi come complicanza di altre condizioni oculari o sistemiche”.
La degenerazione maculare legata all’età è la forma più frequente di maculopatia, che può manifestarsi in due varianti: “La forma atrofica (secca) e quella sudativa (umida) – spiega il professore Coassin -. Il trattamento di scelta per quest’ultimo tipo di maculopatia, sono le iniezioni intravitreali con farmaci anti-VEGF che servono a impedire la formazione di nuovi vasi sanguigni. Queste iniezioni riescono quasi sempre a rallentare la progressione della malattia, ma non a risolvere la situazione. Altre forme di intervento chirurgico non sono comunemente consigliate in questi casi”.
Fortunatamente, ci sono altre forme di maculopatia che invece possono essere affrontate definitivamente con un intervento chirurgico. “Queste sono di solito patologie della retina che insorgono all’interfaccia tra la macula e il vitreo – aggiunge l’esperto -. Il vitreo è un gel che riempie la cavità posteriore dell’occhio e che è naturalmente in contatto con la superficie retiniche. A causa dell’invecchiamento del vitreo, si possono formare delle trazioni sulla macula che alterano la visione”. In questo contesto, tra le patologie più frequenti c’è, ad esempio, il pucker maculare. “Questa forma di maculopatia – sottolinea il professore – si verifica quando un sottile strato di tessuto (“cellophane”) cresce sopra la macula, esercitando trazione e causando distorsioni visive. Questo fenomeno può interferire con la visione centrale, rendendo difficili attività quotidiane come la lettura o il riconoscimento dei volti”.
Nei casi più gravi, la trazione del vitreo sulla retina può causare un buco sulla macula. “I fori maculari possono essere a tutto spessore o solo a spessore parziale (cosiddetti “lamellari”). Se invece la trazione non è tale da creare un foro ma solo di distorcere la retina, si parla di sindrome da trazione vitreo-maculare. Anche la miopia, quando è estremamente elevata, può indurre delle forme di maculopatia trazionale”, aggiunge.
Anche il diabete può determinare una forma di maculopatia che può essere affrontata chirurgicamente. “La retinopatia diabetica, infatti, può danneggiare i vasi sanguigni retinici, portando a perdite di fluidi (edema maculare diabetico), ischemia e crescita di nuovi vasi che possono indurre trazioni indebite sulla retina”, dice ancora il professore.
La diagnosi di maculopatia parte da una valutazione clinica approfondita, che include un’anamnesi dettagliata e un esame oftalmologico completo. “Esistono sintomi specifici che possono fungere da campanelli di allarme per i pazienti, come la riduzione della visione centrale, la distorsione delle immagini (nota come metamorfopsia), difficoltà nella percezione dei dettagli fini e la presenza di una zona cieca centrale, chiamata scotoma – spiega il professore Coassin – . Questi sintomi possono incidere profondamente sulla qualità della vita, interferendo con attività quotidiane come leggere e scrivere, guidare e riconoscere i volti. Pertanto, è assolutamente essenziale, per una gestione efficace della malattia, giungere ad una diagnosi nella maniera più precoce possibile. Interventi mirati e trattamenti adeguati possono rallentare la progressione della patologia e migliorare sensibilmente la qualità della vita dei pazienti”.
Per una diagnosi precisa e completa, in ambito clinico ci si avvale di strumenti avanzati come “la tomografia ottica a coerenza (OCT), che permette di ottenere immagini ad alta risoluzione della retina, fornendo una visione dettagliata della struttura della macula. In casi specifici, si può ricorrere alla fluorangiografia, un esame che utilizza un colorante per evidenziare eventuali perdite di fluidi o anomalie nei vasi sanguigni della retina. Un’alternativa meno invasiva alla fluorangiografia – dice ancora il professore – è l’angio-OCT, che non richiede l’uso di coloranti ma fornisce comunque importanti informazioni sulla circolazione retinica e può rivelarsi utile per una diagnosi accurata”. Esistono anche strumenti semplici in grado di individuare queste anomalie: “Ne è un esempio il test di Amsler, una griglia composta da linee rette con un punto centrale di riferimento. Questo test – aggiunge lo specialista – è facilmente utilizzabile anche a casa: il paziente fissa il punto al centro della griglia e verifica se le linee appaiono distorte, interrotte o ondulate. Eventuali alterazioni possono indicare un problema alla macula e suggerire la necessità di una visita specialistica”.
Attualmente, i trattamenti per la maculopatia variano in base alla tipologia e al livello di gravità della patologia, e possono mirare a rallentare la progressione della malattia o, in alcuni casi, a risolvere specifiche problematiche visive. “Per alcune forme di maculopatia, la chirurgia rappresenta un’opzione risolutiva con risultati molto promettenti. Il pucker maculare, causato dalla formazione di una sottile membrana sopra la macula che distorce la visione, ad esempio, può essere trattato con successo mediante vitrectomia, rimuovendo il tessuto anomalo e migliorando la qualità visiva. Nel caso del foro maculare a tutto spessore, la vitrectomia consente di alleviare le trazioni e chiudere il foro, offrendo al paziente un recupero visivo significativo.- assicura il direttore dell’Oftalmologia della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico -. Nel caso dei fori non a tutto spessore (lamellari), nella sindrome da trazione vitreo-maculare, nelle miopie elevate e nei diabetici le indicazioni chirurgiche vanno decise caso per caso”.
Per altre forme di maculopatia, come la degenerazione maculare senile, non sono solitamente consigliabili veri e propri interventi chirurgici. “L’intervento per tutti questi tipi di maculopatie è, appunto, la vitrectomia, che, come suggerisce lo stesso nome, consiste nella rimozione del corpo vitreo, il gel trasparente che riempie tutta la cavità posteriore dell’occhio. La vitrectomia – spiega il professore Coassin – è una procedura chirurgica avanzata impiegabile nel trattamento di diverse patologie oculari che coinvolgono la macula e il vitreo e si dimostra particolarmente efficace in condizioni in cui la retina subisce trazioni o alterazioni strutturali. la vitrectomia è una tecnica versatile e altamente efficace per il trattamento di diverse condizioni oculari che coinvolgono il vitreo e la macula. Se eseguita in modo tempestivo, questa procedura offre ai pazienti un miglioramento significativo della visione e della qualità di vita, rappresentando una risorsa fondamentale per il trattamento di molteplici patologie retiniche”. Questa tecnica si applica, innanzitutto, nel trattamento del pucker maculare e del foro maculare: “Due condizioni che possono compromettere seriamente la visione centrale e che, grazie alla vitrectomia, possono essere risolte con risultati molto buoni”, evidenzia lo specialista.
“Nel caso del pucker maculare, noto anche come membrana epiretinica, questa tecnica consente di rimuovere il vitreo e la membrana fibrosa che si forma sopra la retina, risolvendo le distorsioni visive e riduzione della qualità visiva centrale. La procedura include il peeling della membrana epiretinica, una tecnica che permette di eliminare il tessuto anomalo, alleviando la tensione sulla macula e consentendo al tessuto retinico di ritornare alla sua struttura normale. Questo intervento porta generalmente a una significativa riduzione delle distorsioni visive e a un miglioramento della qualità della visione, anche se il grado di recupero completo dipende dallo stato della macula al momento dell’intervento”, spiega lo specialista. In presenza di foro maculare la viterctomia è altrettanto fondamentale. “Ricordiamo che il foro maculare è una rottura della retina al centro della visione che si verifica a causa di trazioni vitreoretiniche – evidenzia il professore Coassin – . Durante l’intervento per il foro maculare, oltre alla rimozione del vitreo, si riducono le tensioni sulla retina per favorire la chiusura del foro. Per stabilizzare la retina durante il periodo post-operatorio, si impiegano dei gas che contribuiscono al successo della chirurgia ma che necessitano di posizionamento con il capo prono”. Oltre al trattamento del pucker e del foro maculare, la vitrectomia viene impiegata per altre patologie vitreoretiniche, come “le trazioni vitreomaculari e certi tipi di edema maculare che non rispondono ai trattamenti farmacologici. In questi casi, la rimozione del vitreo e il rilascio delle tensioni retiniche contribuiscono a migliorare la visione e a stabilizzare la retina”, aggiunge lo specialista.
Nei pazienti con pucker maculare che presentano anche una cataratta significativa, entrambe le condizioni contribuiscono a compromettere la visione e rendono spesso necessario un intervento chirurgico per migliorare la qualità visiva. “La vitrectomia può accelerare la progressione della cataratta preesistente, oppure la cataratta stessa può già essere così avanzata da richiedere un intervento per garantire un recupero visivo ottimale. In questi casi, è fondamentale valutare attentamente quale approccio sia più adatto per affrontare entrambe le patologie”, dice il professore Coassin. In tal senso, tra le opzioni principali c’è la faco-vitrectomia, “una procedura combinata che consente di eseguire la rimozione della cataratta e la vitrectomia in un’unica seduta chirurgica. Questo approccio può risultare vantaggioso per i pazienti che necessitano di un miglioramento visivo immediato, riducendo il numero complessivo di interventi e accelerando il recupero della visione. La chirurgia combinata è particolarmente utile nei casi in cui entrambe le condizioni sono gravi e richiedono un intervento simultaneo per ottenere risultati visivi rapidi e soddisfacenti”, dice l’oculista.
Esiste un’alternativa altrettanto sicura ed efficace ed è rappresentata dalla chirurgia sequenziale, in cui si tratta inizialmente la cataratta e, successivamente, si valuta l’effettiva necessità di una vitrectomia. “Questo approccio consente di monitorare i benefici visivi della chirurgia della cataratta e di decidere se proseguire con la vitrectomia solo in un secondo tempo, nel caso sia realmente necessaria. In molti pazienti, infatti, l’intervento di cataratta può da solo apportare un miglioramento visivo sufficiente, rendendo la vitrectomia non indispensabile. Inoltre, è dimostrato che solo nel 10% dei casi il pucker maculare può peggiorare nel tempo, rendendo ancora più consigliabile questo tipo di approccio chirurgico in due fasi (prima la cataratta, poi semmai la vitrectomia). Entrambi gli approcci – combinato e sequenziale – hanno vantaggi specifici e vengono scelti in base alle condizioni oculari del paziente e alla gravità delle due patologie. L’obiettivo – conclude il professore Coassin – è sempre duplice: anzitutto, eseguire gli interventi chirurgici solo quando veramente necessari; e soprattutto, operare in sicurezza, in modo di favorire il recupero visivo senza complicanze”.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato