Presentato il rapporto ‘Health at a Glance: Europe 2024’ dell’Ocse: In Italia la spesa sanitaria pro-capite è tra le più basse d’Europa, i medici sono troppo anziani e gli infermieri ‘scarseggiano’. Di contro, i cittadini possono aspirare ad una vita lunga, ma dovrebbero essere più attivi
In Italia la spesa sanitaria pro-capite è ancora sotto la media europea, i medici sono i più anziani d’Europa e gli infermieri ‘fuggono’ all’estero. Buone notizie per i cittadini: possono aspirare ad una vita lunga, anche se la sedentarietà resta una cattiva abitudine da eliminare. Sono questi i principali elementi che riguardano il Belpaese emersi dal rapporto ‘Health at a Glance: Europe 2024’ dell’Ocse. Entrando nel dettaglio, in Italia sia la spesa sanitaria pro capite che la spesa sanitaria in rapporto al Pil rimangono inferiori alle medie Ue nel 2022. La spesa sanitaria pro capite è stata pari a 2.947 euro nel 2022, circa un sesto al di sotto della media Ue di 3.533 euro. Stesso discorso per la spesa sanitaria in rapporto al Pil: anche nel 2022 si è posizionata sotto la media Ue, con una quota pari al 9%, rispetto al 10,4%. Le stime preliminari per il 2023 indicano che la spesa sanitaria totale pro capite nel nostro Paese è diminuita su base annua di quasi il 4% in termini reali, riflettendo un calo del 4,5% della spesa pubblica e del 2,6% della spesa diretta. “La pandemia di Covid ha esercitato una pressione al rialzo sulla spesa sanitaria in tutta l’Ue e, sebbene l’Italia non faccia eccezione, la sua spesa sanitaria è aumentata a un ritmo più moderato rispetto alla maggior parte degli altri Paesi dell’Ue”, analizzano gli autori del report in una nota.
La composizione della spesa sanitaria per fonte di finanziamento rivela che la spesa sanitaria pubblica rappresenta complessivamente i tre quarti della spesa totale in Italia, una quota inferiore alla media Ue dell’81%. Al contrario, la spesa diretta (out-of-pocket) rappresenta il 23% della spesa totale, una percentuale maggiore rispetto alla media Ue del 15%. Tra il 2019 e il 2021, l’emergenza Covid ha fatto aumentare la spesa sanitaria pro capite del 9,3% in termini reali. Tuttavia, nel 2022 si è assistito a una normalizzazione dei livelli di spesa con un calo del 3,5%, accompagnato da un’analoga diminuzione della spesa diretta. Guardano nel particolare le voci su cui si investe, l’Italia si distingue per un’allocazione di bilancio leggermente superiore alla media per i servizi di assistenza ambulatoriale (33% contro 29%). Il Paese, però, destina una quota relativamente bassa all’assistenza a lungo termine, pari a poco meno del 10% della spesa sanitaria totale nel 2022, al di sotto della media Ue del 15%. “Questa allocazione relativamente ridotta riflette in gran parte la storica dipendenza dell’Italia dall’assistenza informale, pur avendo una delle popolazioni più anziane d’Europa”, aggiungono gli autori del rapporto.
Dallo stesso Report emerge pure che i medici italiani sono i più anziani dell’Ue. Un ‘record’ che va di pari passo ai trend della popolazione tricolore: quasi il 25% risulta infatti essere di età superiore ai 65 anni nel 2023, la percentuale più alta dell’Unione insieme al Portogallo, e si prevede che questa quota raggiungerà oltre il 33% entro il 2050. Con una popolazione che invecchia, “la domanda di servizi sanitari in Italia continuerà a crescere”, avvertono gli autori del report in una nota. “Ad aggravare questa sfida”, il fatto che “la forza lavoro medica italiana è la più anziana dell’Ue, con oltre la metà dei medici italiani di età pari o superiore a 55 anni e il 27% di età pari o superiore a 65 anni, la percentuale più alta dell’Unione”. Ovviamente a spaventare è l’impatto della ‘gobba pensionistica’ per i camici bianchi. In Itala si prevede che l’ondata di pensionamenti raggiungerà il picco nel 2025 e “si normalizzerà solo alla fine del decennio”, avvertono gli esperti. La situazione attuale in Italia potrebbe essere così riassunta: ha un numero di medici per popolazione simile alla media Ue – 4,2 per mille abitanti – ma un numero di infermieri inferiore alla media (6,5 contro 8,4 per mille abitanti nell’Ue). C’è una maggiore dipendenza dai medici per la fornitura di servizi sanitari. Ma, analizzano gli autori, “con l’approssimarsi di un considerevole numero di pensionamenti nel settore medico e l’incremento del fabbisogno di servizi assistenziali legato all’invecchiamento demografico”, alcuni fattori “possono concorrere a mitigare la richiesta di personale medico”. Quelli che vengono citati sono “l’ampliamento delle competenze degli infermieri di famiglia e di comunità, unitamente a quelle dei farmacisti”.
Fra crisi di vocazione e fughe all’estero, gli infermieri in Italia ‘scarseggiano’. Secondo i dati ribaditi dal rapporto ‘Health at a Glance: Europe 2024’ dell’Ocse, il Belpaese ha un numero di infermieri al di sotto della media Ue: 6,5 contro 8,4 per mille abitanti nell’Ue. La professione in Italia si trova a fronteggiare delle criticità, che aggravano ulteriormente la crisi generale delle risorse umane in ambito sanitario, avverte il rapporto. “Le domande di immatricolazione ai percorsi formativi infermieristici si sono quasi dimezzate dal 2012, nonostante un aumento del 25% del numero di posti disponibili”, segnalano gli autori del report in una nota. Di conseguenza, il numero di laureati in Infermieristica in Italia “rimane uno dei più bassi dell’Ue in rapporto alla popolazione (16,4 contro 37,5 per 100mila abitanti nell’Ue nel 2022)”. A questa tendenza, segnala infine il rapporto, si aggiunge poi l’emigrazione di laureati in Infermieristica alla ricerca di retribuzioni più vantaggiose all’estero, e tutto questo “solleva apprensioni riguardo alla capacità dell’Italia di colmare le future posizioni infermieristiche – spiegano gli esperti -. L’ampliamento del ruolo e il miglioramento della qualità delle condizioni di lavoro degli infermieri sono fondamentali per attirare un maggior numero di persone verso questa professione”.
Se la pandemia di Covid aveva intaccato la longevità della popolazione italiana, ora, come mostrato dal Report dell’Ocse, sembrano avere una delle speranze di vita più alte in Europa. Nel 2023, un bambino nato in Italia potrebbe aspettarsi di vivere in media 83,8 anni: il secondo livello più alto nell’Unione, subito dopo la Spagna, e 2,5 anni sopra la media Ue. Dopo un calo superiore alla media, pari a 1,3 anni, dovuto ai decessi Covid nel 2020, l’aspettativa di vita dell’Italia ha iniziato una ripresa e nel 2023 ha superato leggermente i livelli pre-pandemia, allineandosi alla tendenza osservata nella maggior parte degli altri Paesi dell’Unione europea. Come in altri Paesi europei, anche in Italia gli uomini hanno una speranza di vita inferiore rispetto alle donne. Nel 2022 – rileva l’Ocse – la speranza di vita delle donne italiane era di 84,8 anni, oltre quattro anni in più rispetto agli uomini (80,7 anni). Ma non sempre sono anni di qualità: come succede in altri Paesi Ue, le donne italiane trascorrono una percentuale maggiore della loro vita con problemi di salute e limitazioni dell’attività (20%) rispetto agli uomini italiani (17%), quindi il divario di genere negli anni di vita in buona salute è quasi nullo (meno di un anno).
C’è poi l’impatto della sedentarietà. Il rapporto dell’Ocse mostra che la popolazione italiana ha uno dei tassi più bassi di attività fisica tra i Paesi dell’Ue. Nel 2019, solo il 19% degli adulti ha dichiarato di soddisfare il livello minimo raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) di almeno 150 minuti a settimana di attività fisica. Questo dato, rileva il report, “è allarmante se confrontato con la media Ue del 32%”. Il problema è ancora più marcato tra gli adulti più anziani in Italia. Meno del 10% degli over 65 rispetta queste linee guida, collocando il Paese nel terzo inferiore dei Paesi Ue per questa fascia d’età, rispetto al 22% medio dell’Ue . Non va meglio fra i giovanissimi: nel 2022, l’Italia ha registrato tra i Paesi Ue la percentuale più esigua di bambini di 11 e 15 anni che soddisfano le raccomandazioni Oms sull’attività fisica giornaliera. Solo l’11% degli 11enni aderiva a queste linee guida, mentre la percentuale si riduceva al 5% tra i 15enni. “Questi dati – si legge in una nota sul rapporto – delineano un quadro allarmante, in quanto suggeriscono che l’inattività fisica è destinata a persistere e persino ad aggravarsi in futuro in assenza di misure efficaci per combatterla”. Le conseguenze di questa diffusa mancanza di attività fisica? “Sono di vasta portata e costose – concludono gli autori del report -. I modelli dell’Ocse stimano che tra il 2022-2050 l’insufficiente attività fisica in Italia costerà al Paese 1,3 miliardi di euro l’anno in costi sanitari aggiuntivi. Questo notevole onere economico sottolinea l’urgente necessità di intervenire per promuovere l’attività fisica in tutte le fasce d’età”.
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