Mentre le evidenze scientifiche supportano l’estensione delle indicazioni della Tavi anche nei pazienti con stenosi aortica asintomatica, nel nostro paese l’accesso a questa procedura soddisfa poco più della metà del fabbisogno. L’allarme del GISE
Mentre le evidenze scientifiche supportano l’estensione delle indicazioni della Tavi (sostituzione transcatetere di valvola aortica) anche nei pazienti con stenosi aortica asintomatica, nel nostro paese l’accesso a questa procedura mininvasiva soddisfa poco più della metà del fabbisogno nazionale. In Italia ogni anno si eseguono 220 Tavi per milione di abitanti, quando invece il fabbisogno stimato è di 400 per milione di abitanti. A puntare i riflettori su nuove opportunità e carenze di accesso a una metodica che da oltre 20 anni si sta dimostrando sicura ed efficace, appunto la Tavi, sono gli specialisti della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE), in occasione del 45esimo congresso nazionale che si apre oggi a Milano, che sarà “carbon neutral”.
“La Tavi è una procedura minimamente invasiva – spiega Francesco Saia, presidente GISE e cardiologo interventista all’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Policlinico Sant’Orsola – che ha rivoluzionato la cardiologia interventistica, offrendo un’importante opportunità di cura per i pazienti con stenosi aortica in alternativa alla chirurgia a cuore aperto tradizionale. La stenosi aortica è una patologia causata dal restringimento della valvola aortica che determina un ostacolo al flusso di sangue dal cuore verso il resto del corpo. Questa patologia mette il cuore in difficoltà e porta alla comparsa di sintomi come affaticamento, dolore al petto o svenimenti. Dopo la comparsa dei sintomi, si ha un aumento importante del rischio di morte stimato intorno al 30% per anno tanto che a 3 anni dalla diagnosi sopravvive meno del 5% dei pazienti”.
Nelle scorse settimane, in occasione del congresso internazionale della Cardiologia Interventistica Transcatheter Cardiovascular Therapeutics (TCT) di Washington, è stato discusso un importante lavoro scientifico, lo studio EARLY TAVR, il quale ha dimostrato che intervenire precocemente sui pazienti con stenosi aortica grave, ma senza sintomi, potrebbe essere una strategia più utile di una vigile attesa. Lo studio, che ha coinvolto 75 centri negli Stati Uniti e in Canada, ha coinvolto 901 pazienti con un’età media di 75,8 anni affetti da stenosi aortica grave: 455 sono stati sottoposti a una TAVI precoce, mentre 446 pazienti sono stati monitorati. Tutti i partecipanti sono stati seguiti per 3,8 anni, durante i quali è emerso che i pazienti sottoposti a una Tavi precoce hanno un rischio ridotto di poco più del 15% di morte, ictus o ricovero rispetto ai pazienti sottoposti solo a un monitoraggio (35% versus 51%).
I pazienti sottoposti a intervento precoce avevano anche meno probabilità di riportare un peggioramento della funzione ventricolare sinistra e atriale sinistra rispetto a quelli del gruppo di sorveglianza. “Questi dati mostrano chiaramente che non ci sono evidenze che una TAVI precoce sia dannosa o negativa”, commenta Alfredo Marchese, responsabile cardiologia interventistica Ospedale S.Maria GVM di Bari. “Dallo studio emerge anche che il 26% dei pazienti coinvolti ha manifestato poi i sintomi entro 6 mesi, il 50% entro un anno e oltre il 70% ha avuto bisogno di una sostituzione della valvola aortica entro 2 anni. Circa il 40% dei pazienti – prosegue – ha sviluppato sintomi molto avanzati o acuti, ovvero edema polmonare, insufficienza cardiaca grave, sincope o arresto cardiaco. Questo significa che non ci sarebbe alcun vantaggio nell’aspettare soprattutto alla luce della storia naturale della stenosi aortica. Le attuali linee guida raccomandano una sorveglianza clinica di routine ogni 6-12 mesi, ma i nuovi dati indicano che un intervento precoce può migliorare i risultati”.
Nonostante ci siano indicazioni chiare di estendere il ricorso alla TAVI ai pazienti con stenosi aortica grave asintomatica, allargando potenzialmente la rosa dei pazienti candidabili all’intervento, in Italia non si riesce a stare al passo neanche ai bisogni attuali. “Nel nostro paese i livelli di accesso all’interventistica cardiovascolare risultano ancora inadeguati sia in termini di numero di pazienti trattati rispetto al fabbisogno, sia di disomogeneità tra le varie aree geografiche dell’Italia”, dice Saia. “Per le Tavi, in particolare, la media nazionale è 220 procedure per milione di abitanti, ma il fabbisogno stimato è di 350/400 e nelle diverse Regioni il range varia da 108 a 294 interventi per milione di abitanti. È dunque necessario individuare, insieme alle istituzioni, gli strumenti che possono permettere di superare queste criticità, di migliorare gli esiti delle procedure e, soprattutto, la salute dei pazienti”, conclude.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato