In Congo l’epidemia va avanti da oltre 40 giorni ed i morti accertati sono circa 30 su un totale di 382 contagiati
Si attendono i risultati dall’Istituto Superiore di Sanità sui campioni prelevati su un paziente, già guarito e dimesso, proveniente dal Congo e ricoverato nell’ospedale San Luca di Lucca, dal 22 novembre al 3 dicembre. Ad insospettire i sanitari, oltre al viaggio nel paese africano, anche i sintomi, gli stessi rilevati nei pazienti contagiati dal misterioso virus: febbre e anemia. In Congo l’infezione ha già causato 30 morti. Il cinquantenne che ha fatto scattare l’allarme in Italia lavora a circa 700 km dalla zona di Panzi, dove si sono finora concentrati tutti i casi accertati del virus. Al suo rientro in in Italia, come precisato in una nota da Maria Rosaria Campitiello, Capo dipartimento della prevenzione, della ricerca e delle emergenze sanitarie del ministero della Salute, ha manifestato “una sintomatologia influenzale potenzialmente riconducibile alla malattia che sta colpendo una regione del paese africano”.
Sono rassicuranti le parole di Spartaco Sani, responsabile delle malattie infettive dell’ospedale lucchese San Luca: “È stato ricoverato con febbre e anemia ma, adesso sta bene, così come i suoi familiari. Solo per scrupolo è stato ricontattato per accertamenti, ma ad oggi non c’è pericolo di contagio”. La Asl Toscana nord ovest, a cui fa capo l’ospedale di Lucca, sottolinea che “è stato richiamato per accertamenti per una questione di massima precauzione” dopo che si era avuta notizia del focolaio congolese. Quando il paziente è stato ricoverato nell’ospedale di Lucca, infatti, “non era ancora noto il focolaio emerso in Congo”, chiarisce la Asl, ribadendo che “non ci sono al momento profili di rischio”. Resta critica, invece, la situazione in Congo: il ministero della Sanità locale fa sapere che l’epidemia va avanti da oltre 40 giorni ed i morti accertati sono circa 30 su un totale di 382 contagiati. Altre 44 persone sono decedute nei villaggi limitrofi, ma la causa non è stata verificata e non è quindi attribuibile al medesimo virus.
Intanto, dagli specialisti italiani arrivano alcune ipotesi. “In Congo e Camerun, con la presenza della foresta equatoriale ed una grandissima varietà di animali, si concentra la maggiore parte dei virus del pianeta. Un luogo ideale per l’ormai noto salto di specie (spillover), il processo naturale per cui un patogeno degli animali evolve e diventa in grado di infettare, riprodursi e trasmettersi all’interno della specie umana”, spiega Carlo Perno, responsabile Microbiologia e diagnostica di immunologia, dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù, secondo il quale “si potrebbe trattare di un’infezione a trasmissione respiratoria. Non sappiamo quante persone si sono davvero infettate. In quelle zone solo il 3-4% delle persone riesce ad accedere all’assistenza medica in ospedale. I casi, quindi. potrebbero essere molti di più rispetto a quelli segnalati (ed in passato è già avvenuto con l’Hiv) e se così fosse la percentuale di mortalità potrebbe essere molto più bassa rispetto a quella che ora conosciamo”. Per l’infettivologo Matteo Bassetti, Direttore della Clinica Malattie infettive dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova, che chiarisce la sua posizione dal suo profilo su X, “dalla sintomatologia potrebbe trattarsi di una febbre emorragica. Sono delle forme virali, come per esempio Ebola o la febbre emorragica di Congo-Crimea, cioè fondamentalmente infezioni che già sono note, magari sostenute da un nuovo virus che ci auguriamo venga presto identificato. Sono stati centinaia i casi di questa malattia caratterizzata da febbre, mal di gola, tosse ma soprattutto anemia, mancanza di emoglobina nel sangue, quindi la mancanza dell’ossigeno necessario ai tessuti – spiega -. Una forma influenzale molto grave perché ha colpito soprattutto i più giovani e anche i bambini. Stiamo parlando di un’area del mondo dove ci sono numerosi problemi anche di nutrizione, che vuol dire avere un sistema immunitario che funziona meno – prosegue -. Quindi potrebbe essere legata a questo il fatto che alcuni dei morti sono proprio nei bambini sotto i cinque anni e in generale sono stati colpiti i giovani sotto i 25 anni. Parliamo di un centinaio di morti ad oggi”.
“La menzione dell’anemia fa pensare alla polmonite da Mycoplasma, ma è troppo presto per fare una diagnosi definitiva finché non saranno riportate ulteriori analisi”, spiega Paul Hunter, Professore di Medicina presso l’UEA (University of East Anglia), che come tutta la comunità medica scientifica internazionale guarda a quanto avviene in Congo dove si è sviluppato un focolaio di una malattia ancora non identificata. Il Mycoplasma pneumoniae è un batterio responsabile di patologie che interessano soprattutto l’apparato respiratorio. Le manifestazioni variano dalle lievi infezioni delle vie aeree superiori (raffreddore, faringite ecc.) fino alle forme più severe di polmonite, spesso asintomatica, ma, quando le difese immunitarie sono ridotte, l’infezione può condurre a complicanze ematologiche e neurologiche gravi. Per Hunter “segnalazioni di epidemie con decessi emergono da qualche parte nel mondo diverse volte all’anno. Quasi tutte risultano essere infezioni già note con conseguenze globali limitate. Ma ovviamente, abbiamo bisogno di maggiori informazioni prima di poter giudicare le conseguenze più ampie, se presenti, di questa epidemia. È fondamentale che questi casi vengano indagati tempestivamente in modo che possano essere implementate misure di trattamento e controllo appropriate”. Per Jake Dunning, ricercatore senior e consulente in malattie infettive presso il Pandemic Sciences Institute dell’Università di Oxford, “ci sono molteplici, potenziali cause infettive per questo focolaio di malattie non identificato, in base ai sintomi descritti e alle descrizioni di chi è maggiormente colpito, e ci sono anche alcune possibili cause non infettive. Speculare sulle cause di eventi di malattie non identificati, che accadono periodicamente, specialmente nei paesi africani, non è utile e a volte può essere dannoso”.
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