Nei soggetti con depressione è stata rilevata una riduzione anomala della metilazione, il processo che regola “accensione” o “spegnimento” dei geni. Questo squilibrio colpisce il gene SHF, già noto per il suo ruolo nella regolazione delle emozioni, causandone un’attivazione eccessiva. Questa la conclusione dello studio pubblicato sulla rivista Biomedicines, frutto del lavoro dei ricercatori del laboratorio di Genetica Medica del CDI Centro Diagnostico Italiano, del Department of Brain and behavioral Sciences dell’Università degli Studi di Pavia e dell’Unità di Bioinformatica e Genomica statistica di Auxologico IRCCS. Lo studio ha inoltre permesso di individuare rare epivarianti, alterazioni che modulano l’attività dei geni senza cambiare la sequenza del DNA, associate a questa patologia.
“Un numero crescente di studi evidenzia una correlazione tra ipometilazione e depressione – spiega la dottoressa Lucy Costantino, responsabile del Laboratorio di Genetica medica presso il Centro Diagnostico Italiano sottolinea -. Sebbene le evidenze scientifiche siano ancora in fase di approfondimento, questo legame rappresenta una direzione promettente per comprendere meglio una patologia altamente invalidante e multifattoriale. È importante approfondire ulteriormente questa relazione attraverso studi mirati, poiché l’epigenetica potrebbe offrire una visione integrata delle interazioni tra fattori genetici e ambientali e della variabilità nella risposta ai trattamenti. Questo è un passo fondamentale per sviluppare terapie sempre più personalizzate, adattate alle specifiche esigenze dei pazienti”.
“Questo studio approfondisce come l’epigenetica costituisca un ponte tra genetica e ambiente, una prospettiva che ci permette di esplorare territori ancora in gran parte inesplorati – aggiunge il professor Davide Gentilini, direttore dell’Unità di bioinformatica e statistica genetica presso l’Istituto Auxologico Italiano e responsabile dell’Unità di statistica medica presso il Dipartimento di scienze del sistema nervoso e del comportamento dell’Università di Pavia -. Rivela come fattori esterni possano influenzare l’espressione dei geni senza modificare la sequenza del DNA, aprendo nuove strade per comprendere la patofisiologia di malattie complesse come la depressione. Inoltre, si distingue per le tecniche di analisi dei dati: grazie all’integrazione di informazioni di diversi studi precedenti, siamo riusciti a comprendere più approfonditamente i meccanismi biologici alla base della depressione ma anche applicare metodologie avanzate che garantiscono una maggiore affidabilità e generalizzabilità dei risultati ottenuti”.
Il team di ricercatori ha analizzato sei database pubblici della Gene Expression Omnibus, esaminando campioni di sangue e di tessuto cerebrale di soggetti affetti e sani, per un totale di oltre 1700 persone, per esplorare i meccanismi epigenetici legati alla depressione, ovvero quei cambiamenti ereditabili nell’espressione genica che non sono causati da modificazioni nella sequenza del DNA ma sono frutto dell’interazione con l’ambiente. Questi meccanismi potrebbero avere un ruolo cruciale nello sviluppo e nella progressione della depressione. Particolare attenzione è stata posta sulla metilazione del DNA, una modificazione biochimica chiave che regola l’espressione dei geni, inibendo o reprimendo la trascrizione genica. Non sono state rilevate differenze globali significative nella metilazione del DNA tra individui sani e affetti e questo potrebbe riflettere l’eterogeneità della depressione, suggerendo che essa potrebbe dipendere da meccanismi complessi non spiegabili solo attraverso l’epigenetica. Sono, comunque, emerse alterazioni locali rilevanti. In particolare, è stata osservata nei soggetti affetti, una consistente ipometilazione, cioè una riduzione di questo meccanismo vicino al gene SHF, particolarmente interessante nella depressione, poiché le sue implicazioni neurobiologiche sono già state studiate nella malattia di Alzheimer. La proteina SHF, codificata dal gene, è infatti espressa nel cervello, ed è coinvolta nella formazione, tra gli altri, di ippocampo, amigdala, midollo spinale e cervelletto, per lo più legati alla regolazione emotiva e ai processi neurobiologici. Questo potrebbe indicare un’alterata espressione del gene SHF negli individui con depressione, con un possibile impatto sui percorsi neurologici coinvolti nella regolazione delle emozioni. Oltre a ciò, lo studio ha identificato nei soggetti affetti 52 epivarianti rare, di cui 51 nel sangue e una nel tessuto cerebrale. Queste epivarianti offrono nuovi spunti di riflessione sui cambiamenti molecolari che potrebbero essere implicati nella depressione, suggerendo che le modificazioni epigenetiche non siano solo una conseguenza del disturbo, ma possano avere un ruolo attivo nella sua patogenesi, qualificandosi quindi come possibili biomarcatori e bersagli terapeutici.
Da dati dell’Istituto Superiore di Sanità, sistema di sorveglianza Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia (PASSI), risulta che in Italia circa il 6% degli adulti riferisca sintomi depressivi e percepisca compromesso il proprio benessere psicologico per una media di quasi 16 giorni al mese. I sintomi depressivi hanno una maggiore diffusione con l’avanzare dell’età, fra le donne (7%), fra le persone socialmente più svantaggiate (19% per difficoltà economiche; 8% per precarietà lavorativa), fra chi vive da solo (7%) e fra chi è affetto da patologia cronica (11%). Solo il 65% delle persone con sintomi depressivi ricorre all’aiuto di qualcuno, rivolgendosi soprattutto a medici e operatori sanitari.