“In Italia nei prossimi anni assisteremo, molto probabilmente, a epidemie sempre più frequenti di Dengue, complice l’innalzamento della temperatura che favorisce la sopravvivenza e la proliferazione della zanzara tigre, vettore della malattia”. A mettere in guardia è Federico Gobbi, direttore del dipartimento di malattie infettive/tropicali e microbiologia dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona) e associato di malattie infettive all’Università di Brescia, tra gli autori di una una review pubblicata sulla rivista Lancet Regional Health Europe. Lo studio mette in evidenza come negli ultimi 15 anni, il rischio di diffusione della Dengue, Zika e Chikungunya in Europa sia aumentato, soprattutto in Italia. Una situazione che, secondo gli scienziati, deve essere affrontata attraverso una pianificazione di strategie di difesa che potrebbero aiutare a creare protocolli sanitari efficaci, in grado di accelerare la rilevazione precoce dei focolai. La ricerca è frutto di un team coordinato dal Dipartimento di Malattie Infettive/Tropicali e Microbiologia dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar in collaborazione con la Fondazione Bruno Kessler di Trento, l’Istituto Superiore di Sanità, le Università di Brescia, Bari, Padova e Firenze, e co-finanziato dal Programma di Ricerca INF-ACT.
“La Dengue – continua Gobbi – è un esempio di questo trend di espansione delle epidemie tropicali anche alle nostre latitudini, per fortuna ancora limitate. In Italia, nel 2024, c’è stato un record di casi a trasmissione autoctona: 279 che si vanno ad associare ai 474 casi d’importazione. Significativo è stato il focolaio localizzato a Fano, nelle Marche, con 199 persone infette, tutte sintomatiche e con identificazione del virus Dengue. Un altro focolaio, di dimensioni più contenute, 35 casi dello stesso virus, è stato individuato in un comune della Regione Emilia-Romagna. In Lombardia sono stati invece confermati 10 casi, mentre in Abruzzo è stato segnalato un focolaio con otto casi”.
Secondo lo studio, occorre valutare il rischio di trasmissione di questi virus e stimare le probabilità di uno sviluppo dei focolai autoctoni per evitare nuove epidemie. Tra le strategie da mettere in atto: la sensibilizzazione della classe medica, così che sappia intuire il prima possibile la presenza di un possibile focolaio, il coinvolgimento dell’opinione pubblica, affinché sia consapevole che una febbre estiva, non giustificata, potrebbe essere dovuta a un arbovirus. Infine, è necessario riorganizzare i laboratori di microbiologia e la messa a disposizione di test rapidi e occorre sensibilizzare i viaggiatori internazionali a recarsi prontamente a un centro di malattie infettive in caso di febbre al rientro da zone endemiche.
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