Si chiamano distonie e sono contrazioni muscolari involontarie dalla durata variabile e possono costringere chi ne soffre ad assumere delle posizioni anomale con tutto il corpo o con una parte di esso. La distonia colpisce migliaia di persone in Italia. Le cause, la gravità e le manifestazioni della patologia sono molteplici, tanto che è corretto parlare di sindromi distoniche. Nonostante finora siano stati individuati molti geni associati a tali sindromi, non è ancora del tutto chiaro come geni differenti possano produrre sintomi motori simili tra loro. Per far luce su questo aspetto i ricercatori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dalla Fondazione Irccs Istituto neurologico Besta di Milano hanno esaminato 31 pazienti. I risultati sono stati pubblicati su ‘Annals of Neurology’.
Lo studio ha collegato mutazioni genetiche alle disfunzioni del cervello nella distonia, individuando due famiglie genetiche che portano a forme neurali diverse della malattia e che potrebbero avere bisogno di due cure distinte. Abbiamo analizzato i dati neurali di 31 pazienti distonici con nove profili genetici distinti e abbiamo scoperto che geni diversi possono portare a effetti molto simili a livello di attività dei neuroni”, spiega Ahmet Kaymak, dottorando di biorobotica alla Scuola Sant’Anna e primo autore dello studio. La presenza di diverse tipologie genetiche può portare quindi alla stessa patologia e agli stessi disordini del movimento.
“Ma lo studio Sant’Anna-Besta mostra anche altre evidenze scientifiche: di questi corredi genetici infatti, solo quelli con determinate caratteristiche possono essere curati con le attuali terapie di neurostimolazione. “Abbiamo osservato che circa la metà dei geni causa un’attività dei neuroni molto regolare e l’altra metà un’attività molto irregolare. Ci siamo poi resi conto che i geni per cui funzionano le terapie di neurostimolazione appartengono tutti al secondo gruppo. Questo ci suggerisce che la regolarità dell’attività neuronale sia una delle chiavi per l’efficacia della cura”, aggiunge Alberto Mazzoni della Scuola Sant’Anna. “L’importanza clinica di questo studio risiede nella possibilità di usare questo metodo di analisi delle caratteristiche individuali dell’attività cerebrale per le terapie di stimolazione cerebrale adattativa, sempre più orientate alla cura personalizzata per i pazienti con disordini del movimento, quali distonia e malattia di Parkinson”, conclude Luigi Romito, neurologo presso il Dipartimento di Neuroscienze cliniche diretto da Roberto Eleopra al Besta.
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