“I primi risultati del progetto Interceptor rappresentano una conquista scientifica per le oltre 900mila persone in Italia con deterioramento cognitivo lieve (MCI). Identificare i pazienti a maggior rischio di sviluppare l’Alzheimer sarà un passaggio fondamentale per individuare a chi erogare i primi trattamenti e compiere così un passo decisivo per sconfiggere la malattia. Tuttavia, senza un accesso equo e tempestivo alla diagnosi, questi progressi rischiano di rimanere inutili”. Così AIMA, l’Associazione Italiana Malattia di Alzheimer, che evidenzia l’importanza dei risultati presentati ieri nel convegno organizzato dall’Istituto Superiore di Sanità.
I dati del progetto Interceptor, finanziato dal Ministero della Salute e dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), confermano che circa il 30% delle persone con MCI progredisce verso una diagnosi di Alzheimer nell’arco di tre anni. L’integrazione tra dati clinici e biomarcatori ha permesso di sviluppare un modello predittivo con un’accuratezza superiore all’80%, utile per identificare i pazienti che hanno le caratteristiche necessarie per beneficiare di nuove molecole in fase di approvazione. “Una nuova generazione di farmaci si appresta a essere disponibile, eppure assistiamo ancora una volta a polemiche, dimenticando che i diritti dei pazienti vengono prima di tutto e non possono essere messi in discussione per alcun motivo – commenta la Presidente Silvia Spadin -. In questo scenario, i pazienti e i caregiver devono prendere atto dei ritardi e delle mancanze: la ricerca che abbiamo realizzato con Censis evidenzia che bisogna aspettare tra i 20 e i 24 mesi per la diagnosi di un malato con sintomi, che l’aumento complessivo del costo medio annuo per paziente ha raggiunto i 72.000 euro, con un incremento in termini reali del 15% rispetto a dieci anni fa della quota di costi diretti a carico delle famiglie, che più della metà dei pazienti – pari al 53,3%, che sfiora il 60% al Sud – non ha mai effettuato una visita presso un Centro per i Disturbi Cognitivi e le Demenze (CDCD)”, aggiunge Spadin.
“Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, meno del 10% dei CDCD, concentrati per la maggior parte nel Nord Italia, è pronto all’arrivo nuove molecole. È sconfortante che la luce che vediamo in fondo al tunnel si accenda e si spenga e che non ci si renda conto che gli immensi costi economici, sociali e individuali della malattia di Alzheimer possono essere colmati o addirittura cancellati soltanto dalla ricerca. Anche la ricerca però non è sufficiente se non sapremo adeguare la rete diagnostica e di cura, sviluppando una regia centrale efficace e finanziamenti adeguati. La vera sfida è dunque politica e organizzativa: il diritto alla cura non può restare una semplice promessa”, conclude Spadin.
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