In un anno e mezzo quasi 35mila donne (34.938) in Italia si sono sottoposte ad un intervento di impianto di protesi al seno. Il dato è stato rilevato analizzando il periodo che va dal 1 agosto 2023 al 31 dicembre 2024, se si aggiungono questi primi mesi dell’anno 2025 la cifra arriva a 39mila pazienti operate. Sui dati del 2024 nel 58,5% dei casi l’intervento è stato scelto per motivi estetici, nel restante 41,5% per la ricostruzione mammaria dopo la mastectomia. Nello stesso periodo in Italia sono state impiantate circa 60mila (59.488) protesi. Dati e percentuali sull’uso delle protesi mammarie in Italia sono stati estrapolati dal Registro nazionale protesi mammarie (Rnpm), curato del ministero della Salute e presentato oggi a Roma in occasione del meeting ‘Un modello per la nuova governance sanitaria. Registro nazionale degli impianti protesici mammari‘.
Alla pari degli altri dispositivi medici impiantabili le protesi mammarie hanno un ciclo di vita e non sono eterne. Il registro riporta che la sostituzione delle protesi in chirurgia estetica avviene in media dopo oltre 11 anni e con picchi di oltre 14 anni o più. Scende, invece, a circa nove anni nei casi di ricostruzione con protesi dopo mastectomia/tumore e, quando associata a chemio e radio terapia, la durata può scendere fino a circa cinque anni. Questo perché, spiega Roy De Vita, Primario di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva Istituto nazionale dei tumori di Roma Regina Elena “la superficie delle protesi – lisce, macro o microtesturizzate o ricoperte in poliuretano – incide sulle differenti reazioni dei tessuti mammari alla chemio ed alla radioterapia e quindi alla formazione di eventuali contratture capsulari dei tessuti intorno al dispositivo. Purtroppo – continua il chirurgo – il registro mostra solo dati aggregati e nulla ci dice sul tipo di protesi incluse nell’indagine. E’ indubbio però che ci siano reazioni dei tessuti diverse in base al tipo di dispositivo usato e che ci sono superfici che creano minore reattività di altre. Gli studi clinici, infatti, fin dagli anni ’80 confermano che il poliuretano è correlato ad un numero più basso di casi di contrattura capsulare anche nei casi di radioterapia, rispetto alle altre superfici”.
Le protesi per il seno non ‘scoppiano’ mai ma possono rompersi a distanza di diversi anni ed è importante monitorale ogni anno. Le ‘revisioni per rottura’ evidenziate nel registro del ministero della Salute, accadono in media dopo 14,8 anni nei casi di mastoplastica estetica e dopo 13 anni se usate per la ricostruzione mammaria dopo mastectomia con percentuali inferiori se l’intervento è abbinato alla chemioterapia (10,6 anni), alla radioterapia (11,9 anni) e sia a chemio che radioterapia (10,7 anni). In merito al rischio di rottura dopo radio e chemio “il registro – continua De Vita – non indaga le motivazioni e sui dati riportati è difficile interpretarne il nesso. La chemio può aumentare il rischio di infezioni nei tessuti e dunque incidere sull’incremento del rischio di contratture capsulari ma non esiste la relazione tra le terapie antitumorali e le eventuali rotture dei dispositivi. Il dato andrebbe approfondito meglio”.
I dati raccolti nel registro confermano inoltre l’infondatezza dell’allarme nato gli scorsi anni sul linfoma Bia-Alcl correlato con le protesi per il seno. Sulle cause di ‘revisione’ degli impianti mammari la relazione con il Bia-Alcl del nuovo registro conferma la rarità della relazione (segnala 0,1% nei casi di ricostruttiva e 0.05% nei casi di chirurgia estetica) “ma – precisa il ministero della salute – tali percentuali non sono da considerarsi puntuali”. Lo fa invece un altro registro dedicato alla patologia, a cura del ministero della Salute, che conferma quanto l’incidenza della malattia sia rara: su 100mila donne con impianti mammari in Italia sono stati complessivamente 2,68 i casi di Bia-Alcl, pari a 1 paziente ogni 25mila. In dieci anni, dal 2014 al 2024 ci sono stati in tutto 114 casi. “La valutazione del rischio/beneficio sull’utilizzo delle protesi mammarie resta, ad oggi, a favore dell’utilizzo di questi dispositivi a fronte della rarità del linfoma anaplastico a grandi cellule nei pazienti impiantati e della prognosi favorevole, se diagnosticata precocemente”, raccomanda il Ministero della Salute sul sito istituzionale.
“Grazie al Registro nazionale degli impianti protesici mammari, di cui il ministero della Salute è particolarmente orgoglioso, assicuriamo il monitoraggio clinico ed epidemiologico della popolazione impiantata, la prevenzione primaria e secondaria – spiega il ministro della Salute, Orazio Schillaci – l’allerta rapida, per lo scambio di informazioni su eventi passibili di provvedimenti urgenti a livello nazionale e internazionale”. Per il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, “rappresenta un esempio virtuoso e unico nel panorama internazionale. È uno dei nuovi modelli organizzativi su cui dobbiamo puntare per ripensare il nostro Servizio sanitario nazionale in modo più adeguato alle attuali esigenze sociodemografiche. Il Registro è uno strumento prezioso di raccolta dati, funzionale a monitorare l’appropriatezza e la sostenibilità anche economica dell’uso di questi dispositivi medici e a migliorare così l’assistenza sanitaria per i pazienti”. Con le recenti normative “che hanno previsto l’obbligatorietà della trasmissione dei dati, questo strumento innovativo consente di monitorare in maniera sempre più accurata l’efficacia e la qualità dell’assistenza sanitaria, di individuare disomogeneità sul territorio e intervenire con azioni mirate”, conclude Francesco Mennini, Capo Dipartimento della programmazione, dei dispositivi medici, del farmaco e delle politiche in favore del Servizio sanitario nazionale.
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