Sanità 24 Febbraio 2025 10:56

Tumore dell’ovaio, test genomici necessari sin dalla diagnosi

Dall’Ovarian Cancer Commitment la richiesta "di garantire la  rimborsabilità e un accesso omogeneo al test Hrd contestualmente alla diagnosi"
Tumore dell’ovaio, test genomici necessari sin dalla diagnosi

“È impossibile garantire alle donne con tumore dell’ovaio le migliori cure disponibili se non vengono eseguiti subito, fin dal momento della diagnosi, i test genomici necessari a tracciare la carta di identità del tumore e scegliere le terapie su misura”. È questo il messaggio che arriva dagli esperti dell’Ovarian Cancer Commitment, nel 26esimo Congresso della Società Europea di Oncologia Ginecologica (Esgo), tenutosi nei giorni scorsi a Roma. L’appuntamento ha visto la partecipazione di oltre 3.800 specialisti provenienti da 115 Paesi, impegnati nel trattamento dei tumori femminili (chirurghi oncologi, radioterapisti, oncologi medici, anatomo-patologi) da tutto il mondo. “Nel 2024, in Italia, sono state stimate circa 5.400 nuove  diagnosi di tumore dell’ovaio. Si tratta di una delle neoplasie  ginecologiche più gravi”, spiega la presidente Esgo, Anna Fagotti, professore ordinario di Ostetricia e ginecologia all’Università  Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Unità operativa complessa Tumore ovarico alla Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs di Roma. Quello dell’ovaio è un tumore particolarmente difficile: “La  sopravvivenza a cinque anni resta bassa, pari al 43%, anche perché troppe donne, circa l’80%, scoprono la malattia in fase  avanzata”, prosegue Fagotti. Per questa neoplasia non esistono  infatti test di screening che consentano la diagnosi precoce. Inoltre, quasi tre pazienti su quattro, tra quelle con tumore in stadio avanzato, vanno incontro a recidiva entro due anni.

L’oncologia di precisione

Le novità però non mancano. “L’oncologia di precisione ha cambiato la pratica clinica. Infatti, oggi vi sono terapie mirate, in particolare i farmaci inibitori di Parp, che possono essere utilizzati in combinazione con farmaci antiangiogenici come terapia di mantenimento di prima linea e sono in grado di ottenere una remissione a lungo termine, aiutando a vivere più a lungo e ritardando la progressione della malattia”, continua  Fagotti. Per indirizzare verso questi trattamenti è, tuttavia,  necessaria l’esecuzione di un’indagine complessa che rilevi alcune alterazioni molecolari: il test Hrd. La metà dei casi di tumore dell’ovaio presenta infatti alterazioni dei geni coinvolti nella riparazione del Dna definite deficit di ricombinazione omologa (Homologus Recombination Deficiency, da cui la sigla  Hrd). Tra queste, rientrano, per esempio, le mutazioni dei geni  Brca1 e Brca2. “Il test Hrd, che consente di individuare anche le mutazioni Brca, deve costituire il primo step di un approccio di medicina di precisione per definire la miglior cura e va eseguito in tutte le pazienti al momento della diagnosi”, aggiunge Fagotti. Tuttavia, oggi in Italia ciò non avviene in maniera sistematica e la situazione è ancora a macchia di leopardo. Da qui la richiesta dell’Ovarian Cancer Commitment di garantire la  rimborsabilità e un accesso omogeneo al test Hrd contestualmente alla diagnosi. Inoltre, “l’Ovarian Cancer Commitment, chiede che  siano identificati i requisiti dei laboratori in grado di realizzare queste analisi e che siano create reti  laboratoristiche regionali”.

I centri di riferimento di alta specialità sono pochi

Nicoletta Cerana, presidente  di Acto Italia (Alleanza contro il tumore ovarico ETS) evidenzia come “la possibilità di essere curate nei centri di riferimento di alta specialità, che eseguono un elevato numero di interventi chirurgici all’ovaio, non è ancora una realtà in Italia”. Nel tumore dell’ovaio la chirurgia ha grande importanza sia a fini terapeutici, perché consente la rimozione del tumore, sia a fini diagnostici poiché permette una valutazione dell’estensione anatomica della malattia. Una procedura chirurgica appropriata si traduce in un significativo miglioramento della prognosi e della qualità della vita delle pazienti. Tuttavia, ciò a patto che la struttura rispetti registi di qualità elevati. La Società Europea di Oncologia Ginecologica ha predisposto una serie di indicatori per la chirurgia del carcinoma ovarico e una conseguente certificazione dei centri ospedalieri che offrono livelli adeguati di chirurgia, che vanno dalla presenza di un chirurgo specializzato al volume minimo di interventi annui (almeno 30),  alla presenza di team multidisciplinari fino alla possibilità di accesso alle sperimentazione cliniche. Tuttavia, a oggi, “come rileva il Policy Paper dell’Ovarian Cancer Commitment, nel nostro Paese solo tre centri possiedono un volume di interventi annui superiore a 100. La grande maggioranza non supera i 20 casi l’anno e non può ottenere la certificazione  Esgo – aggiunge Cerana -. A ciò si aggiunga che solo sette Regioni  hanno identificato i centri di riferimento regionali e le loro caratteristiche”, conclude.

La gestione delle donne con predisposizione ereditaria al tumore

Nel corso del congresso è stata presentata anche una nuova Consensus, redatta da un gruppo di lavoro presieduto dalla professoressa Claudia Marchetti, Associato di Ginecologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della UOS Prevenzione dei Tumori Ginecologici Eredo-Familiari, e dal professor Murat Gultekin, Associato di ginecologia dell’Università di Hacettepe (Turchia) e direttore del Cancer Control Department del Ministero della Salute turco. “Si tratta di un documento sulle strategie di riduzione del rischio e sulla gestione delle donne che hanno una predisposizione ereditaria a sviluppare tumori dell’utero o dell’ovaio (sindrome di Lynch, mutazioni BRCA, e così via) – spiega la professoressa Claudia Marchetti -. Questa consensus riguarda tutta la vita del paziente, non solo gli aspetti squisitamente clinici ma anche tutto quello che c’è intorno alla malattia, cioè la qualità di vita e tutto quello che è possibile fare per alleviare una serie di disturbi, come i sintomi di una menopausa precoce. La consensus ha stabilito che la giovane che va in menopausa precoce (per l’intervento chirurgico), in assenza di un precedente tumore del seno, può fare terapie ormonale sostitutiva, senza che aumenti il rischio di comparsa di altri tumori (ad esempio al seno). Nelle pazienti con sintomi genito-urinari è possibile fare terapia con estrogeni locali, in sicurezza. Partendo dall’assunto che queste pazienti possano avere un ridotto potenziale riproduttivo, gli esperti della consensus hanno valutato la possibilità e la sicurezza di un’eventuale gravidanza, spontanea o assistita, nelle donne con predisposizione ereditaria ai tumori ginecologici. Oltre alla possibilità di ricorrere a tecniche di preservazione della fertilità prima della chemioterapia, la consensus ha stabilito che le tecniche di procreazione assistita sono sicure sia nelle donne sane, portatrici di mutazioni che predispongano al tumore dell’ovaio, che in quelle con pregresso tumore del seno, perché non aumenta il rischio di recidiva. La consensus ha stabilito anche che le pazienti con mutazione BRCA e pregresso tumore del seno, qualora rimangano incinte spontaneamente, possono portare avanti in sicurezza la gravidanza”.

La pelvectomia

L’intervento di pelvectomia (pelvic exenteration) consiste nell’asportazione radicale degli organi pelvici (utero, tube, ovaie, retto e vescica) e viene effettuato in caso di alcune recidive di tumori ginecologici. “Si tratta di un intervento molto demolitivo – spiega la professoressa Fagotti – che può essere effettuato solo in alcuni centri di riferimento super-specializzati”. A fronte di un rischio intra-operatorio relativamente basso, nel post-operatorio possono verificarsi importanti complicanze in una paziente su quattro. “Noi abbiamo sviluppato un punteggio predittivo (score) del rischio – prosegue l’esperta – per individuare preventivamente le complicanze alle quali potrebbe andare incontro la paziente. Questo score di rischio ci aiuta ad affrontare l’intervento e il post-operatorio con piena cognizione delle possibili complicanze, permettendoci di intercettarle tempestivamente e di gestirle al meglio”. Lo studio è stato presentato dal dottor Nicolò Bizzarri della Ginecologia Oncologica di Fondazione Policlinico A. Gemelli IRCCS.

 

 

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