Salute 17 Marzo 2025 13:29

La salute degli astronauti al centro di due nuovi esperimenti italiani sull’ISS

Sono stati avviati sulla Stazione Spaziale Internazionale due esperimenti italiani che consistono nel monitoraggio delle radiazioni a cui sono sottoposti gli astronauti e di alcuni parametri cardiovascolari
La salute degli astronauti al centro di due nuovi esperimenti italiani sull’ISS

Dal monitoraggio in tempo reale della quantità di radiazioni ricevute dagli astronauti alla misurazione non invasiva di importanti parametri cardiovascolari. Questo sono gli obiettivi di due esperimenti italiani, partititi sulla Stazione Spaziale Internazionale con l’arrivo della capsula SpaceX Crew-10 il 15 marzo scorso. I nuovi esperimenti, finanziati dall’Agenzia Spaziale Italiana, si chiamano IRIS e Drain Brain 2.0 e prevedono di testare tecnologie indossabili su astronauti internazionali.

Indicazioni importanti per future missioni di lunga durata

“I risultati che si otterranno con i due progetti IRIS e Drain Brain 2.0 – spiega Barbara Negri responsabile Ufficio Volo Umano e Sperimentazione dell’Agenzia Spaziale Italiana – contribuiranno ad aumentare la conoscenza dell’ambiente radiativo in cui operano gli astronauti e forniranno indicazioni sull’adattamento del sistema cardiovascolare in condizioni di microgravità. L’ambiente ostile, la lunga durata del viaggio e le radiazioni cosmiche sono fra i principali ostacoli che gli astronauti dovranno affrontare per voli di lunga durata verso la Luna o Marte”.

Le radiazioni ionizzanti tra i rischi principali per gli astronauti

IRIS è realizzato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – TTLAB insieme all’Università di Bologna ed ha come obiettivo quello di monitorare in tempo reale la quantità di radiazioni ionizzanti ricevute durante le attività quotidiane dagli astronauti. “L’esplorazione umana dello spazio è una delle sfide e imprese più affascinanti, un motore potente per stimolare e sviluppare la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica”, spiega Beatrice Fraboni, principal onvestigator del progetto e docente del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna. “Ma le radiazioni ionizzanti presenti nello spazio sono considerate dalla NASA uno dei cinque maggiori rischi da mitigare per consentire l’esplorazione umana del Sistema Solare. I sensori sviluppati da IRIS – continua – sono dosimetri personali attivi, ossia in grado di rivelare e trasmettere in tempo reale alla centrale operativa la dose ricevuta da chi li indossa, permettendo di attivare un allarme immediato in caso di sovraesposizione“.

Sensori ultrasottili e flessibili facilmente indossabili dagli astronauti

“Grazie all’impiego di materiali innovativi (semiconduttori organici e perovskiti) tali sensori – sottolinea Fabroni – sono stati fabbricati con comuni processi di stampa su substrati non convenzionali, quali plastica o tessuti, realizzando rivelatori ultrasottili e flessibili. Il volume ed il peso estremamente ridotto, uniti alla bassissima potenza di alimentazione richiesta, offrono un ulteriore significativo vantaggio per il payload delle missioni e per la sicurezza dell’equipaggio spaziale, che potrà indossarli impercettibilmente per tutto il tempo di permanenza in habitat extraterrestre, prevedendo un futuro monitoraggio in-situ dell’esposizione di organi particolarmente delicati. Per consentire una sicura ed efficace esplorazione spaziale umana, non possiamo tuttavia limitarci a mitigare gli effetti delle radiazioni sugli astronauti, ma dovremo estendere lo studio a tutti gli strumenti a supporto della vita nello spazio (come per esempio piante, cibo, medicine)”.

Un collarino per monitorare in modo i parametri per la salute cardiovascolare

Il secondo esperimento è il progetto Drain Brain 2.0 realizzato con la collaborazione dell’Università di Ferrara. Durante la missione, gli astronauti indosseranno uno strumento progettato per rilevare e monitorare in modo non invasivo alcuni importanti parametri per la salute cardiovascolare. “Lo strumento diagnostico realizzato con i fondi ASI, è uno speciale pletismografo – spiega il principal investigator Paolo Zamboni, professore del Dipartimento di Medicina Traslazionale e per la Romagna e direttore del Centro delle Malattie Vascolari dell’ateneo ferrarese – cioè un sensore sottilissimo a forma di collarino che può essere facilmente indossato da tutte/i gli astronauti a bordo e che è sincronizzato con l’elettrocardiogramma. Questo strumento permette di rilevare a distanza i segnali di flusso nella vena giugulare e nel’arteria carotide, i vasi principali del cosiddetto asse cuore-cervello. Con gli astronauti in orbita, potremo analizzare il loro adattamento fisico alla nuova situazione, in assenza di peso”.

Possibile impatto anche sull’applicazione della telemedicina

“Va considerato che a oggi i problemi cardiovascolari e neurologici dovuti alo stato di microgravità e ai fenomeni di adattamento – spiega Zamboni – sono tra i primi ostacoli alla possibilità di prolungare i voli spaziali al di sopra dei sei mesi. Quindi lo strumento che abbiamo sviluppato potrebbe fornire dati indispensabili per organizzare le necessarie contromisure per la sicurezza degli astronauti nelle future missioni spaziali, in vista di viaggi più impegnativi come quelli su Marte. Non secondarie anche le ricadute a terra che potrebbero scaturire dalla sperimentazione. Spesso molte persone si chiedono se sia giusto allocare finanziamenti per qualcosa che sembra così lontano dai bisogni quotidiani, come la ricerca dell’ASI. Noi ricercatori siamo consapevoli che la tecnologia sviluppata presso la nostra Università potrebbe avere un notevole impatto in telemedicina. Ad esempio, potremmo fornire assistenza sanitaria a distanza alle persone con scompenso cardiaco, che sono diversi milioni solo nel nostro Paese”.

Uno scenario per l’utilizzo di prodotto per la ricerca spaziale

“Il pletismografo non invasivo permette il monitoraggio della funzione cardiaca, potendo fornire ai medici di base con anticipo – spiega Zamboni –  aggiustamenti terapeutici che in molti casi permettono di evitare la necessità di un ricovero in condizioni drammatiche. Se le aziende sanitarie scommetteranno su questo sistema miglioreranno la qualità dei servizi offerti, limitando costi e tempi di attesa. Si apre così uno scenario nuovo sull’utilizzo di prodotti per la ricerca spaziale che sono anche a favore della popolazione e della medicina”.

 

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