Identificato per la prima volta negli anni ’50 in America Latina, il virus Oropouche nei decenni successivi è rimasto nell’ombra, tanto da essere considerato ancora oggi un agente patogeno misterioso. Ora, un nuovo studio accende i riflettori sul virus: secondo i ricercatori in America Latina sarebbe molto più comune e diffuso di quanto si pensasse. I ricercatori della Charité-Universitätsmedizin di Berlino, nella ricerca pubblicata su ‘The Lancet Infectious Diseases‘, approfondiscono anche i fattori che potrebbero aver fatto da moltiplicatore ed evidenziano che le condizioni climatiche sembrano aver avuto un’influenza significativa sulla diffusione del virus. Il team internazionale di scienziati, guidato da Jan Felix Drexler, responsabile del laboratorio di epidemiologia dei virus all’Istituto di virologia della Charité, ha prima indagato sull’effettiva prevalenza del patogeno. “I nostri dati mostrano che il virus Oropouche è ampiamente sottodiagnosticato in America Latina”, spiega Drexler, che conduce anche ricerche nel Centro tedesco per la ricerca sulle infezioni (Dzif). “In alcune aree, almeno una persona su dieci ha avuto una precedente infezione”.
Come i virus Dengue e Zika, Oropouche provoca una malattia febbrile e ci sono recenti indicazioni che le infezioni in gravidanza possano causare danni al feto. Presentandosi con sintomi piuttosto aspecifici – come febbre, brividi, mal di testa, dolori agli arti e, in alcuni casi, nausea ed eruzioni cutanee – per lungo tempo, la malattia è passata in sordina, considerata prevalentemente lieve dal momento che le segnalazioni di episodi più gravi correlati al patogeno, tra cui la meningite, erano rare. Per ragioni ancora sconosciute, però, da fine 2023 le infezioni segnalate in America Latina e nei Caraibi si sono impennate e hanno superato i 20mila casi. Sono stati segnalati anche due decessi in donne giovani e sane e in diversi casi l’infezione contratta durante la gravidanza sembra aver causato aborto spontaneo o malformazioni fetali. “Sappiamo ancora relativamente poco del virus – spiega Drexler -. Le conseguenze di un’infezione, anche sui feti, richiedono ulteriori indagini. Non è ancora chiaro se vi siano parallelismi con il virus Zika. Nel complesso, tuttavia, sembra causare danni ai feti meno frequentemente rispetto a Zika”.
Ad oggi, ricordano gli esperti, non esiste un vaccino per il virus Oropouche, né un trattamento specifico per la febbre causata dal patogeno. Per avere un’idea della reale diffusione del virus il team di ricerca ha esaminato nell’ultimo studio oltre 9.400 campioni di sangue raccolti da persone sane e malate in Bolivia, Brasile, Colombia, Costa Rica, Ecuador e Perù tra il 2001 e il 2022. Dall’analisi è emerso che gli anticorpi contro il virus Oropouche – indicativi di una precedente infezione con il patogeno – erano presenti in circa il 6% dei campioni in tutti i territori. Tuttavia, i ricercatori hanno identificato notevoli variazioni regionali: mentre gli anticorpi contro il virus erano presenti in media nel 2% dei campioni provenienti dal Costa Rica, questa quota saliva al 5% dei campioni provenienti dall’Ecuador e a oltre il 10% dei campioni provenienti dalla regione amazzonica. Le persone che vivevano ad altitudini più elevate avevano meno probabilità di aver contratto una precedente infezione da Oropouche rispetto a quelle che vivevano in contesti più bassi e caldi. Un confronto tra campioni di sangue di anni diversi indica anche fluttuazioni nei tassi di infezione di anno in anno.
Tentando di scoprire cosa potesse scatenare l’infezione, i ricercatori hanno analizzato se esistesse un’associazione tra i contagi da Oropouche e vari fattori ambientali e demografici. Risultato: le condizioni climatiche come pioggia e temperature costanti sembrano esercitare la maggiore influenza sulle infezioni. “Presumiamo quindi che l’attuale epidemia sia stata alimentata da fenomeni meteorologici come El Niño – spiega Drexler -. Al contrario, non abbiamo trovato prove che le mutevoli proprietà del virus possano fornire una spiegazione alternativa per l’attuale numero elevato di casi. Penso che sia possibile che il virus Oropouche diventi ancora più diffuso in futuro con l’avanzare del cambiamento climatico”.
Sulla base di queste informazioni, il team ha stimato il rischio di infezione da Oropouche in America Latina, rappresentandolo su una mappa panoramica. “L’area di distribuzione principale è la foresta pluviale amazzonica – riassume Drexler. Tuttavia, esiste un rischio elevato anche in alcune parti dell’America Centrale e dei Caraibi, nonché nelle aree meridionali e costiere del Brasile”. Oltre ai virus della Dengue e Chikungunya, “Oropouche è probabilmente il virus più comunemente trasmesso tramite punture di insetti in America Latina“, sottolinea Drexler, che raccomanda di adottare misure sistematiche per prevenire le punture di insetti e di proteggersi dall’infezione quando si visita la regione. “Per proteggersi da Oropouche, e anche da altri virus tropicali come Dengue e Zika, è consigliabile indossare abiti lunghi e utilizzare repellenti per insetti”, afferma il virologo. “Anche le zanzariere possono offrire protezione” ma solo se la maglia è “sufficientemente sottile” perché il virus è trasmesso principalmente da piccoli moscerini (‘no-see-ums’) che misurano fino a tre millimetri e fanno ‘breccia’ nelle zanzariere convenzionali. Drexler raccomanda infine alle donne incinte di consultare un medico prima di trascorrere del tempo in regioni a rischio, finché persistono alti tassi di infezione e finché non si saprà di più sugli effetti di Oropouche sui nascituri.
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