Advocacy e Associazioni 21 Aprile 2025 20:06

Papa Francesco è tornato alla Casa del Padre: la carezza della Chiesa ai malati

Il Pontefice, dopo un lungo ricovero al Policlinico Gemelli per una polmonite bilaterale da cui era stato dimesso il 23 marzo scorso, si è spento il 21 aprile alle 7.35. Con lui se ne va un autentico custode della speranza e della tenerezza per chi soffre
Papa Francesco è tornato alla Casa del Padre: la carezza della Chiesa ai malati

Oggi, 21 aprile 2025,  alle 7.35 del mattino Papa Francesco è tornato alla Casa del Padre. Con la sua morte, la Chiesa perde non solo il suo 266° Vescovo di Roma, ma anche un pastore che ha fatto della misericordia e della prossimità ai sofferenti il cuore pulsante del proprio ministero. Francesco è stato il Papa che ha camminato lentamente tra gli ultimi, chinandosi sui feriti della vita con la discrezione di chi non guarisce, ma accarezza. E tra tutti gli “ultimi”, i malati hanno avuto un posto speciale nel suo cuore.

Lo ha testimoniato ancora la Domenica di Pasqua quando ha deciso di scendere comunque in piazza sulla sua “Papamobile” e percorrendo PIazza San Pietro ha espressamente chiesto di fermarsi davanti a un gruppo di ammalati e disabili in carrozzina che lo salutavano a poche decine di metri dalla sua residenza, Santa Marta, in Vaticano.

Sin dai primi giorni del suo pontificato, Bergoglio ha mostrato una sensibilità fuori dal comune verso il dolore, la malattia, la fragilità umana. Ma non si è trattato di semplice compassione: il suo sguardo sulla sofferenza è stato teologico, pastorale e umano al tempo stesso. Per lui, la malattia non era un inciampo da rimuovere, ma un mistero da abitare. E il malato non era un destinatario passivo della carità cristiana, ma un protagonista capace di evangelizzare con la propria croce.

Un’alleanza tra chi cura e chi soffre

Durante un incontro con i membri del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, Francesco spiegò che “farsi prossimo, avvicinarsi, prendersi cura di chi soffre sono tutte azioni della pastorale della salute”. Non erano parole generiche. Più volte, nel corso degli anni, ha visitato reparti pediatrici, hospice, comunità terapeutiche, parlando con chi soffre come si parla a un fratello. Non da cattedra, ma “dal basso”, con lo stile del buon samaritano che si china, paga di persona, accompagna.

Nel 2019, parlando agli operatori sanitari cattolici, esortava a un impegno non solo tecnico, ma profondamente umano: “Difendete e promuovete la vita, specialmente quella più indifesa, quella ferita, quella che il mondo considera improduttiva.” Un invito a riconoscere la dignità anche laddove la società vede solo peso, costo, limite.

E fu chiaro nel dire che la relazione è ciò che guarisce più di ogni cura. “Anche quando non si può guarire – scrisse più volte – è sempre possibile curare, consolare, far sentire una vicinanza”. Qui si trova, forse, il tratto più originale della sua visione pastorale: il rifiuto della logica utilitarista, la ribellione contro l’indifferenza che anestetizza la coscienza.

I messaggi delle Giornate del Malato: parole come balsamo

L’11 febbraio, memoria della Madonna di Lourdes, ricorre ogni anno la Giornata Mondiale del Malato. Francesco ne ha fatto un laboratorio spirituale e pastorale, un appuntamento per riaccendere la coscienza ecclesiale attorno alla sofferenza. E ogni messaggio è stato una piccola enciclica della tenerezza.

Nel 2021 parlò di “fraternità come fondamento della cura”, richiamando la necessità di riscoprire una fiducia reciproca tra paziente e curante. L’anno dopo, nel 2022, al centro fu posta la misericordia: “Porsi accanto a chi soffre in un cammino di carità”. Francesco rifuggiva da ogni pietismo, invitando a una vicinanza concreta, operosa, rispettosa.

Nel 2023, evocò la figura del Samaritano e scelse come tema: “Abbi cura di lui”, sottolineando la responsabilità condivisa di ogni comunità nell’essere spazio di guarigione. Nel 2024, affermò con forza: “Non è bene che l’uomo sia solo”, evidenziando come la solitudine sia spesso la malattia più crudele.

Ma è nel suo ultimo messaggio, quello dell’11 febbraio 2025, che forse si coglie il testamento spirituale di Francesco nei confronti dei malati. Il titolo, tratto dalla Lettera ai Romani, era: “La speranza non delude”. Sapeva bene che la speranza, per chi è segnato dalla malattia, può sembrare una parola inadeguata. Ma proprio per questo volle ricordare che essa “non è illusione, ma forza interiore che sostiene anche quando tutto sembra crollare”.

Scrisse: “La sofferenza non può chiudere l’orizzonte. E anche chi è claudicante, anche chi è piegato dal dolore, è pellegrino di speranza. È testimone del fatto che Dio non abbandona, ma cammina con noi.” E poi, con uno dei suoi passaggi più forti: “L’indifferenza è il vero male da curare. Per questo chiedo alla Chiesa di essere un ospedale da campo anche oggi, anche quando il mondo sembra anestetizzato.”

La visita a sorpresa al Giubileo degli Ammalati

Era l’11 febbraio 2025. In Piazza San Pietro si celebrava la XXXIII Giornata Mondiale del Malato, che coincideva con uno dei momenti più intensi di questo anno Anno Giubilare: il Giubileo degli Ammalati. La celebrazione, prevista da tempo, si sarebbe dovuta svolgere senza la presenza fisica del Papa, la cui salute, già da mesi, lo costringeva a lunghe pause e a ridurre drasticamente gli impegni pubblici. L’omelia, infatti, fu letta da Mons. Rino Fisichella.

E invece, contro ogni previsione, Papa Francesco apparve a sorpresa in sedia a rotelle tra i pellegrini, accolto da un lungo applauso e da molte lacrime. Non pronunciò discorsi ufficiali. Non celebrò la Messa. Ma il suo silenzio fu più eloquente di ogni omelia. Guardava i malati negli occhi, li salutava uno a uno, toccava le mani contratte, accarezzava volti segnati dal dolore. Fu un gesto semplice, ma potentissimo.

«È venuto da noi, anche oggi. Anche se è lui il primo tra i malati», disse commosso un giovane affetto da distrofia muscolare. Per molti, quello fu il suo testamento vivente: essere presente, nonostante tutto, testimoniare con il proprio corpo la scelta di camminare – o anche solo di restare – accanto a chi soffre.

La scena di quel giorno, con Francesco fragile ma determinato, immerso tra barelle, sedie a rotelle e volontari, resta una delle immagini più forti del suo pontificato. Nessun proclama, nessuna enfasi. Solo la presenza. Una Chiesa che non spiega il dolore, ma lo abita. Un Papa che non insegna a guarire, ma a non lasciare solo chi ha bisogno di essere guardato, riconosciuto, amato.

Con le associazioni, un cammino sinodale

Papa Francesco non ha mai concepito il servizio ai malati come gesto isolato, ma come responsabilità collettiva. Per questo ha dialogato intensamente con le associazioni di pazienti, riconoscendo il valore della loro testimonianza e del loro impegno civile.

Nel 2023, ricevendo i rappresentanti di UNIAMO, federazione delle associazioni per le malattie rare, parlò con franchezza: “C’è ancora troppa disuguaglianza nell’accesso alla cura. Non basta parlare di diritti: occorre garantire equità, prossimità, ascolto.”

E nel 2024, davanti ai volontari dell’AIL, tracciò una delle sue immagini più care: “Voi siete come candele accese nella notte del dolore. Dissipate il buio non con parole, ma con la vostra presenza.” Era la sua teologia dell’incontro, della carne condivisa, del dolore che si fa comunione.

Un’eredità che resta

Oggi, alla notizia della morte di Papa Francesco, milioni di persone si stringono in preghiera. Ma chi vive la malattia, chi la accompagna, chi la studia e la cura, sa che qualcosa di più profondo rimane: un magistero del cuore, un’eredità che non si misura in documenti ma in gesti, in sguardi, in abbracci silenziosi.

Papa Francesco non ha guarito i malati, ma li ha riconosciuti. Non ha risolto il mistero del dolore, ma vi è entrato. E oggi, più che mai, le sue parole risuonano come un compito: costruire una Chiesa capace di prossimità, una società dove nessuno – mai – sia lasciato solo nel dolore.

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