I musicisti sono più veloci ad analizzare tanto la totalità di uno stimolo, la globalità, quanto le sue sotto-componenti, i particolari. A fare luce su questa straordinaria abilità è stato un gruppo di ricercatori dell’Università di Padova, coordinato da Christian Agrillo del Dipartimento di Psicologia Generale dell’ateneo. I risultati del lavoro sono stati pubblicati sulla rivista Psychology of Music.
Gli esseri umani hanno la tendenza ad analizzare gli stimoli visivi nella loro globalità, infatti si dice che vedano “la foresta prima degli alberi”. Viceversa, possiedono anche la capacità di soffermarsi sul particolare, su un elemento del mosaico che compone il tutto, analizzando prima l’intero e poi le sue componenti in un processo che avviene nell’arco di pochi millisecondi. Ma il tempo di reazione non è lo stesso per tutti. Lo studio ha preso in esame 22 musicisti e 22 non musicisti, La ricerca si basa su precedenti studi che suggerivano differenze nei meccanismi visuo-spaziali tra musicisti e non; molto utilizzato in questo settore, ad esempio, è lo stimolo sperimentale di Navon, che consiste in una lettera dell’alfabeto composta da altre lettere di piccole dimensioni.
In alcuni casi l’informazione globale e la sua componente corrispondono – facilitando il compito –, come una lettera H fatta da tante piccole H, in altri casi no, per esempio una H composta da piccole S, cosa che aumenta i tempi di elaborazione dello stimolo. È un dato di fatto che i musicisti siano molto più sottoposti a stimoli che prevedono sia un’analisi globale, ad esempio riconoscere gli accordi, che locale, come analizzare il dettaglio di una nota dentro l’accordo che può avere alterazioni temporanee introdotte dal compositore. I risultati dello studio hanno confermato questa abilità documentando come i musicisti siano più veloci nell’analizzare tanto la totalità dello stimolo (riconoscere la lettera grande) che le sotto-componenti dello stimolo (le lettere piccole).
La ricerca supporta l’idea che il continuo passare dall’analisi globale a quella locale che richiede la lettura del pentagramma possa rendere i musicisti professionisti più efficienti nell’analisi di questi stimoli, anche quando non sono di natura musicale. “Se un musicista non allenasse questa capacità visuo-spaziale potrebbe incontrare difficoltà nella lettura dello spartito, arrivando a confondere una cadenza ‘ad inganno’ con una cadenza ‘perfetta’, tipica del finale della maggior parte delle opere classiche e identica a quella ad inganno, fatta eccezione per una nota dentro l’accordo finale. Un’ulteriore conferma, insomma, che fare musica non fa bene solo alle orecchie, ma anche alla mente e agli occhi”, conclude Agrillo, corresponding author dello studio.
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