Il racconto del medico paziente-zero: il contagio, il ricovero allo “Spallanzani” e la guarigione in un turbine di emozioni, paure e speranze. Il monito: “Formazione essenziale contro l’epidemia”
Appare in forma, Fabrizio Pulvirenti, e sereno davanti alle nostre telecamere. Quel che traspare in lui è una sensazione di calma e di forza: quella che ti spinge a rischiare la vita per salvarne altre, quella che ti fa guardare la morte negli occhi e dirle che no, non è ancora la tua ora.
Ma soprattutto, in Fabrizio, una gran voglia di raccontare e di raccontarsi, e di condividere quell’esperienza unica che, dalla malattia alla guarigione, ha tenuto l’Italia col fiato sospeso per più di un mese. Sanità Informazione, già da tempo attenta alla tematica, presenta con orgoglio l’intervista esclusiva al medico italiano di Emergency contagiato in Sierra Leone dal virus Ebola, e poi guarito grazie alle cure dell’eccellenza italiana “Lazzaro Spallanzani”.
Dottor Pulvirenti, in che modo quanto accaduto ha segnato la sua vita?
Io sono un sopravvissuto. Mi sono contagiato in Sierra Leone e poi, grazie all’attivazione dell’Unità di crisi della Farnesina sono stato trasportato in Italia, e ricoverato allo Spallanzani. Ebola è un virus che miete una vittima dopo l’altra in Africa ma che, anche grazie alla professionalità dei colleghi dello Spallanzani, io sono riuscito a battere. E’ un’esperienza molto forte, che ti tocca dentro e ti mette faccia a faccia con l’aspetto peggiore della vita: la morte. Penso al momento in cui mi è stata comunicata la diagnosi di contagio, a quando mi è comparso l’esantema e ho temuto che potesse virare verso una forma emorragica, o alla solitudine provata durante la convalescenza: un isolamento di ben 38 giorni, durante i quali anche il contatto con gli operatori sanitari era estremamente sporadico. Questo consente tutta una elaborazione personale della situazione: permette di pensare a se stessi, al proprio futuro, a rivedere alcune posizioni. Talvolta diamo importanza a cose che in effetti non ne hanno, e quando poi ci si trova a tu per tu con eventi tragici si è portati a rivalutare alcuni aspetti della propria esistenza.
Medici e infermieri pagano spesso il fatto di essere in prima linea ad un’epidemia ancora difficile da estirpare, stando alle parole degli esperti. La formazione per il personale sanitario è determinante per affrontarla al meglio?
Certo: non ci si può improvvisare operatori sanitari in un’epidemia come quella di Ebola che, ai tempi del mio arrivo in Sierra Leone, aveva oltre il 70% di mortalità ed una contagiosità elevatissima. Bisogna essere preparati, formati e informati sui rischi, ed è attraverso questi strumenti che si può operare al meglio. La formazione riveste un ruolo essenziale per affrontare tutte le patologie infettive, che richiedono un livello di preparazione particolare e per certi aspetti diversa dalle altre. Il personale sanitario, nel momento in cui sceglie di partire volontario, necessita di una formazione specifica. Anche io prima di entrare in zona rossa – l’area dove ci sono i pazienti contagiati – ho dovuto subire un training di 5 giorni durante i quali sono state fatte numerose prove di vestizione e soprattutto svestizione dagli abiti contaminati.