Gli indicatori di mortalità pubblicati dall’Istat indicano la riduzione della mortalità e l’aumento dell’aspettativa di vita. Ma una popolazione più anziana richiede uno sforzo maggiore del sistema sanitario. Il Segretario Generale di Federsanità ANCI: «Senza investimenti, a rischio il welfare per le nuove generazioni»
Si vive di più e si muore di meno. È il riassunto degli indicatori di mortalità della popolazione residente relativi all’anno 2016 pubblicati dall’Istat. Secondo l’analisi dell’istituto di statistica, lo scorso anno sono stati registrati 32mila decessi in meno rispetto al 2015 (-5%). La riduzione nel numero di morti risulta territorialmente omogenea, pur risultando più ampia nel Nord-ovest e nel Sud (-5,6% e -5,7%). Ma il 2016 è stato l’anno più favorevole tra gli ultimi quattro anche sotto il profilo della sopravvivenza: la speranza di vita alla nascita si attesta a 82,8 anni (+0,4 sul 2015 e +0,2 sul 2014) e nei confronti del 2013 risulta essersi allungata di oltre sette mesi. Ma la speranza di vita aumenta in ogni classe di età: a 65 anni arriva a 20,7 anni (5 mesi in più rispetto al 2013), età in cui la probabilità di morire rispetto a 40 anni fa si è più che dimezzata. Tuttavia, continuano ad essere significative le diseguaglianze territoriali anche per quanto riguarda la sopravvivenza: se nel Nord-est gli uomini possono contare su 81 anni di vita media e le donne su 85,6, nel Mezzogiorno si raggiungono 79,9 anni per gli uomini e 84,3 per le donne.
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«Se aumentano le aspettative di vita la popolazione invecchia. Gli anziani non appartengono più alla realtà produttiva del Paese, che quindi si riduce e garantisce meno risorse. Quindi come sosteniamo il sistema dell’assistenza sanitaria e il welfare?». È la domanda che si pone Lucio Alessio D’Ubaldo, Segretario Generale di Federsanità ANCI, intervenuto nei giorni scorsi ad un incontro dedicato proprio alla salute degli italiani.
Per far fronte al progressivo invecchiamento della popolazione, che quindi richiederà sempre maggiore assistenza sanitaria, sono necessari investimenti e risorse, altrimenti il sistema collasserà, nonostante «l’Europa sia un’isola felice perché consuma il 50% della spesa per il welfare del mondo pur avendo meno del 10% della popolazione complessiva», precisa D’Ubaldo. Ma per garantire il welfare, «la più grande conquista del Novecento», anche per le prossime generazioni «è necessario investire nella sanità – prosegue -. Se si risparmia solamente per andare incontro alle esigenze di bilancio, questa rete di protezione si indebolisce e in futuro pagheremo prezzi ancora più alti. Quindi bisogna avere lungimiranza e risparmiare laddove è giusto attraverso processi che diano più efficienza al sistema, ma al contempo le risorse risparmiate vanno investite per fare ospedali più moderni ed efficienti, che costino meno e rendano di più. Solo in questo modo si tuteleranno risorse preziose per il futuro delle nuove generazioni», conclude il Segretario D’Ubaldo.