L’Università Campus Bio-Medico di Roma apre il suo 25° Anno Accademico con il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e il presidente della Conferenza dei Rettori Giancarlo Manfredi. Nella prolusione del farmacologo e preside della Facoltà Dipartimentale di Medicina e Chirurgia, Giorgio Minotti, alcuni possibili scenari futuri della farmacologia internazionale
«Il mancato trasferimento dell’EMA a Milano è stato deciso dalla cattiva sorte e dalla farraginosità di un meccanismo elettivo che lascia al caso decisioni così importanti per lo sviluppo industriale e per l’accesso ai farmaci da parte di centinaia di milioni di pazienti. Ma non sarà questione di buona o cattiva sorte cogliere le opportunità terapeutiche e l’indotto offerti dai circa 7mila farmaci in fase di sperimentazione clinica nel mondo, che con terapie sempre più personalizzate aprono nuove prospettive di cura» è questo, in sintesi, il quadro tracciato dal professor Giorgio Minotti, Farmacologo e preside della Facoltà Dipartimentale di Medicina e Chirurgia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma (UCBM) nella Prolusione “Farmacologia della crisi”, pronunciata il 22 novembre in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico 2017-18 dell’Ateneo, il venticinquesimo di UCBM.
«Una primavera di ricerca e sviluppo in ambito farmaceutico, favorita dalla transizione da vecchi a nuovi modelli di innovazione, e che però ha visto lievitare i costi dei farmaci. Per molti versi è quindi in arrivo ‘una tempesta perfetta’ tra speranze dei pazienti e rischio di insostenibilità finanziaria».
«L’orizzonte dell’innovazione farmaceutica è però meno corrucciato di quel che i numeri lascerebbero pensare, perché la sostenibilità finanziaria delle nuove terapie – spiega Minotti – sarà almeno in parte controbilanciata da appropriatezza prescrittiva e ottimizzazione del rapporto costi-esiti. Grazie alla genetica la personalizzazione delle terapie consente, e sempre più consentirà, di ridurre i costi assistenziali generati dagli effetti collaterali o dalla mancanza di effetto terapeutico. Si va quindi verso la medicina del farmaco giusto al paziente giusto nel momento giusto”. Fondamentale, secondo il Professore, sarà una adeguata formazione dei medici all’uso ottimale delle nuove armi terapeutiche».
Un esempio virtuoso di come ciò possa accadere, trasformando una crisi in nuove opportunità, viene dal caso di un farmaco anti-leucemico. «Approvato dalla FDA americana – ricorda il Professore – viene dapprima ritirato dal mercato dopo un picco di eventi avversi vascolari e poi reintrodotto in considerazione del suo effetto salvavita. In Italia, un programma coraggioso di formazione e informazione dei medici, condotto dall’azienda produttrice in collaborazione con esperti del mondo universitario, compreso UCBM, ha consentito di meglio conoscere il profilo del farmaco e consentirne una somministrazione sicura e prolungata, più di quanto non sia avvenuto nel resto del mondo, compresi gli Stati Uniti dove il farmaco è stato brevettato».
Certo è che di appropriatezza si avrà sempre più bisogno per garantire la sostenibilità dei nuovi farmaci in arrivo. Ben settemila in corso di sviluppo clinico (1.813 in oncologia, 1.329 in neurologia, 1.257 contro le malattie infettive, 1.211 immunologici, 599 cardiovascolari, 511 per disturbi del comportamento, 475 per le malattie del metabolismo, 159 contro l’HIV.
«Una svolta che parte da lontano, dal punto di rottura dell’anno 2000, quando – spiega Minotti – si è passati da un sistema chiuso di sviluppo dei farmaci a uno aperto, dove più industrie, ma anche Università, Centri di Ricerca pubblici e privati, Biotechs, collaborano a un modello di innovazione aperta. Un sistema che coinvolge anche i pazienti e le loro richieste di qualità della vita, e che ha portato a un significativa diminuzione dei fallimenti nello sviluppo dei farmaci».
A decretare il successo della svolta sono i numeri illustrati nella Prolusione: con il passaggio al sistema aperto i fallimenti delle fasi precoci delle sperimentazioni cliniche si sono ridotti dal 50 a circa il 30%, per diminuire ulteriormente nelle fasi più avanzate. Un successo che ha consentito di reinvestire in ricerca e sviluppo e portare le molecole di potenziale interesse da 6mila nel 2001 a quasi 15mila nel 2017. Un vero e proprio record di investimenti in ricerca, che nel farmaceutico hanno raggiunto il 18,3% dell’intero fatturato, più di qualsiasi altro comparto produttivo, che per computer ed elettronica non raggiunge il 12%.
«Dati – conclude il professor Minotti – che mostrano come dalle crisi si possa uscire vincenti aprendosi alle opportunità anziché ripiegandosi su modelli superati. Una lezione della quale l’industria del farmaco ha fatto tesoro, ma che vale per tutto il resto, dalla politica all’economia e, perché no, persino per il nostro sciaguratissimo calcio».