La ricetta della Responsabile Salute e Welfare del Censis Ketty Vaccaro: «Stabilizzazione lavorativa, politiche di sostegno alla famiglia e rinegoziazione dei ruoli familiari con un occhio alla Francia…»
L’Italia sta rimpicciolendo. Non geograficamente, certo, ma demograficamente. Il 51° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese descrive a chiare lettere un’Italia caratterizzata dalla riduzione della natalità, dall’invecchiamento e dal calo della popolazione; un Paese in cui la decisione di fare un figlio viene rimandata sempre più in là e in cui neanche l’input degli immigrati è più sufficiente a contrastare la decrescita della popolazione; un Paese sempre più anziano, con tutte le ovvie conseguenze per il Sistema Sanitario Nazionale e per la lotta alle cronicità.
Nel 2016 la popolazione è diminuita di 76.106 persone, dopo che nel 2015 si era ridotta di 130.061. Il tasso di natalità si è fermato a 7,8 per 1.000 residenti, segnando un nuovo minimo storico di bambini nati (solo 473.438). La compensazione assicurata dalla maggiore fertilità delle donne straniere si è ridotta. A fronte di un numero medio di 1,26 figli per donna italiana, il dato delle straniere è di 1,97, ma era di 2,43 nel 2010. Nel 1991 i giovani di 0-34 anni (26,7 milioni) rappresentavano il 47,1% della popolazione, nel 2017 sono scesi al 34,3% (20,8 milioni). Pesa anche la spinta verso l’estero: i trasferimenti dei cittadini italiani nel 2016 sono stati 114.512, triplicati rispetto al 2010 (39.545). Il ricambio generazionale non viene assicurato e gli over 64 anni superano i 13,5 milioni (il 22,3% della popolazione). E le previsioni annunciano oltre 3 milioni di anziani in più già nel 2032, quando saranno il 28,2% della popolazione complessiva.
«Questo è un Paese che ha tutte le caratteristiche del declino demografico – ha commentato ai nostri microfoni Ketty Vaccaro, Responsabile dell’Area Salute e Welfare del Censis -. Aumentano le persone anziane, si riduce la popolazione e soprattutto la natalità rimane ai minimi storici: ormai sono tre anni che non raggiungiamo neanche il livello psicologico dei 500mila nati l’anno».
Ed è soprattutto questo dato a preoccupare gli esperti del settore. Ma perché non si fanno più figli? «Quello della bassa natalità è certamente un problema generale che riguarda la precarizzazione della condizione giovanile – risponde la Dottoressa Vaccaro -: una precarizzazione lavorativa che sta tuttavia diventando una precarizzazione esistenziale. L’investimento nel futuro per antonomasia, che è quello di fare un figlio, diventa molto difficile in condizioni di vita e di lavoro come quelle che vivono le nuove generazioni. È necessario agire sul lavoro, quindi, per migliorare la natalità. Anche se sembra paradossale, i due aspetti sono fortemente connessi. Se si comincia ad avere l’opportunità di diventare mamma dopo i 30 anni, è chiaro che le possibilità di avere un secondo o un terzo figlio diminuiscono drasticamente. E ricordiamo che in Italia abbiamo l’età media di nascita del primo figlio più alta, a 31 anni».
«Un altro aspetto necessario per rilanciare la natalità – prosegue la Dottoressa – è il reale sviluppo delle politiche familiari. E per avere un modello da cui prendere spunto non dobbiamo andare molto lontano. Basta guardare alla Francia degli anni Settanta, che aveva una situazione molto simile alla nostra: anche lì c’era una caduta della natalità e una diminuzione della popolazione. Come si è intervenuti? Migliorando sotto diversi aspetti e sotto diverse angolazioni tutte le politiche di sostegno alla famiglia: dal pagamento della baby sitter alle soluzioni di lavoro più utili per riuscire a conciliare i tempi di vita e i tempi di lavoro per uomini e donne. Ad oggi la decisione di fare un figlio è una decisione che cade totalmente in capo alla mamma e al papà e i sostegni concreti sono molto limitati».
«C’è poi un problema culturale trasversale che secondo me andrebbe messo in evidenza, e cioè la necessità di rinegoziare i ruoli familiari. Oggi le donne italiane – puntualizza la Dottoressa Vaccaro – sono ancora le principali responsabili della cura della famiglia e della prole. Se questo aspetto non sarà riequilibrato all’interno delle relazioni di coppia, credo che questo esito di privatizzazione della maternità e della paternità sortirà effetti ancora più negativi».
«Per ottenere il rilancio della natalità in Italia è necessario prendere contestualmente in considerazione tutti questi aspetti – conclude -. La decisione di fare un figlio deve rimanere una decisione individuale, ma deve essere sostenuta perché i figli non si fanno solo per se stessi, si fanno anche per la società».