Sviluppata in Italia e impiantata sul braccio di una donna, la protesi permette al paziente di percepire la consistenza degli oggetti, trasmettendo le informazioni al cervello tramite elettrodi impiantati nel braccio
Dopo aver perso la mano sinistra in un incidente stradale, la sua vita era drasticamente cambiata. Poi, una nuova speranza. Almerina Mascarello, la prima donna italiana a testare una mano bionica per recuperare il tatto, è tornata dopo un intervento rivoluzionario a fare tutto quel che faceva prima della perdita dell’arto. Ciò è potuto avvenire grazie ad un impianto, in fase sperimentale, eseguito dal dottor Paolo Maria Rossini, Responsabile della Struttura complessa di Neurologia del Policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma: «Abbiamo operato e seguito dal 2009 ad oggi 5 persone e Almerina è stata la prima donna, la prima italiana e la prima a indossare l’impianto per sei mesi, anche al di fuori del laboratorio» ha spiegato il neurologo ad AdnKronos Salute.
Il progetto è stato realizzato e portato avanti da un team di ingegneri, neuroscienziati, chirurghi, esperti di elettronica e robotica di tre diverse nazionalità: Italia, Germania e Svizzera: «In Germania hanno messo a punto gli elettrodi, a Losanna il software e noi ci siamo occupati dell’impianto», ha spiegato ancora il dottor Rossini.
La mano “bionica” è formata da sensori che hanno la capacità di rilevare la consistenza dell’oggetto toccato. Queste informazioni vengono elaborate da un computer (contenuto in uno zaino, per permettere al paziente di poter uscire fuori casa) che li trasforma in segnali che vengono trasmessi direttamente al cervello attraverso elettrodi impiantati all’interno dei nervi del braccio.
«La sensazione è spontanea – ha commentato la donna alla BBC – come se fosse la tua vera mano. Sei finalmente in grado di fare cose che prima erano difficili, come vestirti, indossare scarpe, tutte cose banali ma importanti. Ti senti completo».
Almerina ha indossato la mano bionica per sei mesi, ma ora il prototipo è stato rimosso. La ricerca prosegue: la speranza è quella di arrivare a ulteriori miniaturizzazioni per poi trovare aziende disposte a produrla e garantirne l’assistenza tecnica, sia dal punto di vista meccanico che del software.