Il Direttore Generale dell’Ospedale milanese spiega ai nostri microfoni: «La sfida principale che affronteremo nel prossimo futuro è il coordinamento dei diversi soggetti che curano i malati cronici dentro e fuori gli ospedali»
«Il vero problema che le aziende ospedaliere dovranno risolvere nei prossimi anni? Il coordinamento dei diversi soggetti che curano i malati cronici dentro e fuori l’ospedale». È questa secondo Marco Trivelli, Direttore Generale dell’Ospedale Niguarda di Milano, la grande innovazione da ricercare e ottenere nel prossimo futuro. Obiettivo cui il Niguarda si sta avvicinando grazie alla nuova integrazione tra ospedale e territorio che intende ribaltare la logica ospedalocentrica che ha caratterizzato l’organizzazione sanitaria lombarda, estendendo la responsabilità di cura dei pazienti anche dopo la dimissione dal reparto. In che modo? Tramite quella che l’ospedale stesso definisce la “fusione fredda” tra attività socio-assistenziali territoriali e attività sanitarie ospedaliere.
«Per quanto riguarda la nostra esperienza ospedaliera nei confronti dei pazienti cronici – afferma il dottor Trivelli -, quello che stiamo riscontrando è che il paziente cronico vive moltissima parte della sua vita fuori da un ospedale, quindi l’insieme di tutti i soggetti curanti, sia dentro che fuori gli ospedali, che sono la ricchezza dei nostri sistemi sanitari, devono coordinarsi e lavorare insieme. Il coordinamento tra questi soggetti e la convergenza tra più competenze specialistiche sono i problemi organizzativi del futuro, è la vera innovazione, necessaria più di un’innovazione tecnologica: intorno ad ogni paziente cronico dobbiamo far convergere, in modo personalizzato, medici di medicina generale, ambulatori, strutture di ricovero assistenziale come le RSA, strutture di riabilitazione, eccetera».
Ma oltre ad una maggiore interazione tra ospedale e territori, è anche necessario procedere con l’innovazione e l’avanzamento tecnologico delle strutture e delle strumentazioni, ambiti nei quali, come ricorda lo stesso dottor Trivelli, l’ospedale Niguarda è all’avanguardia: «Il paziente cronico – risponde Trivelli – richiede sempre il meglio e all’interno di un ospedale per acuti trova sicuramente quanto di più innovativo ci possa essere in termini di diagnostica, quindi di inquadramento della sua patologia e di indicazione delle terapie migliori per una sua stabilizzazione e per fare in modo che non ci siano più eventi acuti che lo costringono a venire in ospedale».
«Non dobbiamo dimenticare – prosegue – che un paziente cronico, che magari soffre di più patologie croniche, ha necessità di cura anche fuori dall’ospedale per circa 350 giorni l’anno: si calcola infatti che un paziente cronico non stia in ospedale per più di 15 giorni, di media. A maggior ragione, quindi, è necessaria quella correzione dell’autoreferenzialità che gli ospedalieri possono avere: dobbiamo mischiare le competenze e far scambiare, tra ospedalieri e non, il sapere clinico con la capacità della prossimità che hanno i soggetti al di fuori dell’ospedale, utilissima e necessaria per i pazienti. Coordinare chi lavora in ospedale e i medici di base, gli assistenti sociali o gli infermieri a domicilio servirà a definire i bisogni del paziente e a cercare di garantire che tutte le prestazioni attese siano effettivamente garantite a ciascun cittadino malato», conclude.