Tra i dati più interessanti emersi nel convegno ‘Passi lunghi 10 anni’, organizzato dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Ministero della Salute, anche quelli relativi alle abitudini durante gravidanza e allattamento
Tra le regioni italiane più “sportive” e dedite all’attività fisica ci sono Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta e Sardegna. Tra quelle più sedentarie, il Piemonte e la Basilicata. Ma cosa influisce sulla tendenza di intere popolazioni e singoli soggetti ad intraprendere o meno una vita più salutare? «Le variabili sono tante», conferma ai nostri microfoni Giuseppe Ruocco, Segretario Generale del Ministero della Salute: i dati PASSI – Progressi nella Aziende Sanitarie per la Salute in Italia, mostrano che con il diminuire del reddito e del livello di istruzione aumentano l’abitudine al fumo, la sedentarietà, l’obesità e si riduce l’attività fisica. Le persone con istruzione più elevata, con maggiori disponibilità economica e di cittadinanza italiana si sottopongono inoltre più frequentemente degli altri ai test di diagnosi precoce dei tumori della mammella, del collo dell’utero e dell’intestino. Dati interessanti riguardano inoltre il fumo di tabacco, che oggi in Italia costituisce la prima causa evitabile di morte prematura. Nella popolazione di 30 anni e più, il fumo provoca circa 80mila morti l’anno (il 24% di tutti i decessi tra gli uomini e il 7% dei decessi tra le donne). Quella del fumo e del consumo di alcol è, infine, una grossa fonte di preoccupazione, in particolare per le donne in gravidanza. Nonostante sia raccomandato per tutte le donne in fase di gravidanza o allattamento di evitare di fumare o di bere alcolici, sono ancora tantissime quelle che non se ne preoccupano: 1 donna su 6 consuma alcolici durante la gravidanza e 1 su 4 durante l’allattamento. Stesso discorso per quanto riguarda il fumo: più del 10% delle donne in gravidanza o allattamento continua a fumare.
Questi i dati più interessanti emersi dal convegno ‘Passi lunghi 10 anni’, organizzato dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Ministero della Salute in occasione del decennale dell’implementazione di “PASSI – Progressi nella Aziende Sanitarie per la Salute in Italia”, il sistema di sorveglianza che raccoglie in maniera continuativa informazioni sui comportamenti e gli atteggiamenti dei cittadini italiani dai 18 ai 69 anni verso la propria salute e il ricorso ai servizi.
Dottor Ruocco, qui si presenta il percorso di PASSI, un importantissimo sistema epidemiologico di prevenzione, studio e analisi della popolazione italiana. Perché, come si dice in modo anche abusato, prevenire è meglio che curare…
«PASSI è uno strumento diventato ormai una delle strutture portanti a disposizione del decisore tecnico e politico in materia di prevenzione. Devo dire che negli ultimi anni ha assunto un ruolo di rilievo attraverso i suoi indicatori di valutazione e rivalutazione dei LEA. Diciamo che abbiamo raggiunto una fase di maturità nella quale i dati, di natura dinamica, che vengono raccolti possono passare dal livello nazionale a quello locale attraverso un’analisi delle interviste e delle risposte che si hanno nei vari ambiti. Queste, abbinate ad una serie di dati sui determinanti sociali che impattano sulla salute, fanno sì che oggi PASSI possa essere un grande aiuto per il nostro Sistema sanitario, in tutti i suoi ambiti: prevenzione ma anche decisioni in merito alla qualità dell’assistenza che viene fornita. Siamo passati da una fase in cui era importante valutare il numero delle prestazioni a quella in cui è importante valutare la qualità, e quindi l’impatto delle prestazioni rese. PASSI è uno strumento utilissimo in questo senso».
Tra i tantissimi dati forniti, volevo soffermarmi su alcuni: i determinanti sociali. Ci sono dati molto interessanti sulle differenze sociali che influiscono sulla salute…
«Il nostro Paese ha ancora delle disparità che si evidenziano nel settore della prevenzione e nella qualità della salute dei nostri cittadini. Esiste anche un gradiente socioeconomico evidente, che è presente anche in letteratura, ma i nostri dati lo confermano sul territorio e ci indicano quindi le aree e le fasce fragili della popolazione sulle quali bisogna intervenire con programmi specifici atti a colmare questo gap».
Tra queste linee ci sono il contrasto all’alcol, al fumo e l’implementazione dell’attività fisica. Sorprende vedere come quest’ultima sia leggermente scesa negli ultimi anni.
«Innanzitutto bisogna capire qual è la differenza tra l’attività sportiva in senso stretto e fisica più in generale, la quale va benissimo, se fatta con una certa intensità volta a migliorare lo stato di salute. Certamente il genere di vita che noi tutti affrontiamo e anche le ridotte possibilità economiche, con conseguenti problemi nell’iscriversi a corsi e palestre, sicuramente ha impattato in qualche maniera su questi risultati. Bisogna agire per superare questo gap, anche spiegando che l’attività fisica va benissimo in palestra ma non necessariamente bisogna investire somme ingenti. Basta un po’ di buona volontà e tempo».