di Guido Quici, Presidente Nazionale Cimo
Il documento conclusivo sull’indagine e analisi dello stato di salute del nostro SSN, votato all’unanimità dalla Commissione Sanità del Senato, offre l’opportunità per alcune riflessioni non solo sui principi di universalità, solidarietà ed equità della sanità italiana ma, soprattutto, sul reale impegno che la politica intende assumere in un settore nevralgico per il nostro Paese dove il confine tra welfare e salute è sempre più lontano. Certamente l’analisi condotta ha evidenziato uno spaccato della sanità italiana del tutto realistico, come sono condivisibili le 10 considerazioni conclusive che i senatori lasciano all’attenzione dei partiti e delle forze politiche per questa campagna elettorale e per chi sarà chiamato a governare e legiferare nella prossima legislatura. Una sorta di testamento che lascia una pesante eredità e che richiama anche il lavoro dell’analoga commissione canadese che ha costatato come “il sistema sanitario è tanto sostenibile quanto noi vogliamo che lo sia”. E’ proprio vero: “volere è potere” e di volere e potere ne abbiamo visto, in questi anni, davvero poco. Molti dubbi, tuttavia, permangono ancora. Si afferma, ad esempio, che “non si tratta di un problema economico”, perché “la sostenibilità del diritto alla salute è prima di tutto un problema culturale e politico”. Giusto, ma questa affermazione è “indigesta” e di difficile comprensione per i pazienti e gli operatori sanitari che si trovano di fronte al più basso rapporto spesa sanitaria / PIL degli ultimi anni, quale conseguenza di una politica di definanziamento che origina 4 anni prima della crisi economica e persegue fino ai nostri giorni a prescindere dai Governi che si sono succeduti.
Piuttosto sembra di rilevare una forte autocritica perché, prima di tutto, è stata la politica a mettere in crisi la sostenibilità del diritto alla salute: dalla conduzione autoreferenziale delle regioni nei processi organizzativi, alle politiche remissive nei confronti delle decisioni assunte dal MEF, non certo per la scuola, le banche etc, fino alla recente politica del bonus e malus presente nell’ultima finanziaria. Certo esiste ancora un problema culturale perché non vi è un vero progetto di rilancio della nostra sanità e le azioni intraprese in questi anni dal Ministero della Salute sono state puntualmente disattese dalla stessa politica economica nazionale che ha sempre considerato la sanità un costo e non un fattore produttivo, per non parlare delle politiche regionali che, spesso, hanno frenato ogni iniziativa aprendo, di volta in volta, contenziosi su tematiche nazionali come nel caso della vicenda vaccini. Quindi il messaggio che emerge è chiaro e forte: lo Stato non è più in grado di assicurare tutto a tutti ed il combinato liste di attesa, out of pocket e rinuncia alle cure rappresenta l’evidenza dei fatti. Si vorrebbe, quindi, un cambio culturale che porti i cittadini a convivere con strumenti alternativi, (vedi sanità integrativa) e gli operatori sanitari ad avere un diverso approccio al mondo del lavoro caratterizzato, sempre di più, da modelli organizzativi a costi sempre più bassi ad iniziare dal costo del personale. Ma questo sembra in contrasto con l’altra affermazione secondo la quale si tratta di “una questione di equità e quindi di giudizi di valore, prima ancora che di sostenibilità economica”. Il valore, inteso in termini di efficienza clinica ed efficacia delle cure, di esiti di salute, di equità non può non tenere conto della spinta motivazionale dei professionisti della salute, spinta che è venuta meno da troppo tempo e che oggi, invece, diventa la prima necessità. Chi vive, tutti i giorni, la vita delle corsie e dei pronto soccorso ospedalieri, sa perfettamente che la demotivazione del personale porterà ad un ulteriore abbassamento dei livelli di assistenza e, se fino ad ora, nonostante il ridotto personale, l’aumento del precariato, le aggressioni nelle strutture sanitarie, la medicina amministrata, i sanitari hanno dimostrato senso di responsabilità, adesso diventa sempre più difficile continuare a sostenere un sistema che necessita di interventi strutturali, non al ribasso, a meno che la politica non voglia continuare a perseguire il copione già visto. Occorre, quindi, uscire dal mondo virtuale ed entrare in quello reale e, allora, le domande che CIMO pone nel confronto politico sono: “fino a che punto la politica è disposta a salvaguardare i principi fondanti del nostro sistema sanitario nell’interesse della collettività, garantendo a tutti coloro che ne hanno bisogno un’elevata qualità di accesso alle cure? Quali cure il nostro sistema è in grado di assicurare ai cittadini? Quali politiche del personale intende perseguire? Si vuole davvero una sanità più equa, universalistica e sostenibile?
È questo il momento in cui la politica deve dare risposte forti e chiare.