«Ho fatto tutto quello che, chirurgicamente, avrei potuto fare nella mia vita, ma non mi sento un vincente, perché ho dovuto lasciare il mio Paese. I giovani devono andare all’estero per scelta, non perché sono obbligati»
C’è un misto di orgoglio e rabbia nelle parole di Francesco Wirz. Chirurgo plastico napoletano trasferitosi a Parigi, è l’unico italiano ad aver preso parte al trapianto sull’uomo dai tre volti: per la prima volta al mondo un paziente ha subito, nella sua vita, due diversi trapianti di faccia. L’intervento è stato eseguito dai chirurghi dell’Hopital Européen Georges Pompidou di Parigi, guidati dal Professor Laurent Lantieri. Tra questi, c’era anche il dottor Wirz.
È una storia di successo, la sua. Si è specializzato in chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica alla seconda università degli studi di Napoli ma, grazie a coloro che hanno capito la sua motivazione e le sue esigenze, ha frequentato gli ultimi due anni di specializzazione a Parigi, presso «il miglior servizio di chirurgia plastica d’Europa».
È arrivato in Francia senza conoscere una parola di francese, riscontrando enormi difficoltà di integrazione e accettando una sfida contro se stesso. La svolta è arrivata con il Professor Lantieri, «il mio maestro e primario» che gli ha dato una possibilità: «Mi ha detto “dimostrami che vali e vediamo che succede”. Non avevo niente da perdere. Mi sono impegnato, ho studiato, ho lavorato sodo e sono riuscito a guadagnarmi un posto di ruolo in ospedale».
Inevitabile, allora, il confronto con l’Italia, ottenendo un risultato simile a quello sottolineato da tanti altri cervelli in fuga: «Qui se lavori sodo hai il tuo tornaconto. Se vali e dimostri di valere, il tuo posto lo ottieni. Qui c’è meritocrazia».
Ma è un’altra la lezione principale che la Francia ha insegnato al dottor Wirz: «Qui si delega. C’è una gerarchia, c’è un capo che è l’allenatore della squadra di calcio, ma i giocatori schierati sono giovani. In Italia abbiamo in campo 11 allenatori, e che partita può uscirne fuori? È fondamentale invece che ci siano i giovani, che hanno tanta forza, che apprendono velocemente, che non hanno pensieri per la testa e possono dare tutti se stessi alla professione. E queste caratteristiche si hanno solo dai 18 ai 35 anni, quando si è nel massimo della propria esplosione fisica, mentale e metabolica».
«Conosco tanti ragazzi di diverse università italiane che invece sono al quinto anno di specializzazione e non hanno ancora fatto niente, e che sarebbero capaci di stare 25 ore in sala operatoria solamente a guardare e ad imparare, per quanto sono motivati e quanta voglia hanno di fare. Invece il sistema italiano li mortifica professionalmente ed arrivano a 35 anni che non hanno più la stessa energia e voglia. Io ho 35 anni e non potrei mai rifare tutto quello che ho fatto finora, perché non ne avrei la forza».
«Ciò di cui in Italia non ci si rende conto – prosegue il dottor Wirz – è che se pilotare un aereo è difficile, ancora più difficile è lasciare pilotare un aereo ad un’altra persona, perché se quella persona è in difficoltà si deve avere la capacità di recuperare il suo errore. Questa è la cosa bella della Francia: si dà fiducia ai giovani, li si lascia fare ma standogli vicino, pronti a recuperare un loro errore. Così si fa scuola, così si formano i chirurghi e così si dà un avvenire alla chirurgia».
Francesco Wirz non se la sente, però, di consigliare ai ragazzi di partire e fare quello che ha fatto lui, anche se ci tiene a sottolineare che «l’intelligenza sta nel prendere le opportunità che si hanno nella vita e trasformarle in cose positive».
«Io ho fatto un percorso bellissimo, di cui vado fiero: ho vissuto in diverse città d’Europa, parlo diverse lingue, ho avuto l’opportunità di conoscere nuove culture e aprirmi la mente, di avere un percorso formativo eccellente e di fare tutto quello che avrei potuto fare, chirurgicamente, nella mia vita. Ma non mi sento un vincitore. Ho dovuto fare immensi sacrifici, sono lontano da casa, non sono stato vicino ai miei genitori quando avevano bisogno di me, ho abbandonato i miei amici e ho dovuto lasciare il mio Paese. E quando vedo i miei colleghi che sono rimasti a Napoli, che sono riusciti a crearsi qualcosa, che hanno la famiglia vicina e nel week end prendono la barca e vanno al mare, io non mi sento un vincente».
«Se c’è un messaggio che posso lanciare, io lo rivolgo ai grandi, non ai ragazzi: chi governa l’Italia deve cambiarla in modo tale che i ragazzi restino a casa. Stiamo distruggendo il valore più bello che esiste, che è quello della famiglia. Perché anche se io mi sposassi qui con una francese e avessi dei figli, i loro nonni sarebbero lontani. Per carità, partire e fare tutto quello che ho fatto io è bellissimo, ma deve essere una scelta. I giovani ormai si sentono invece obbligati a scappare dal proprio Paese. Noi non ce ne rendiamo conto ma l’Italia è il Paese più bello del mondo, abbiamo un cucina fantastica e gli italiani sono eccezionali».
Risulta evidente, allora, la nostalgia di casa e la voglia di tornare: «Da quando sono qui è come se fossi salito su un’onda, e quando sali su un’onda la devi cavalcare fino alla fine, non puoi scendere a metà. Con il trapianto di faccia l’onda sta finendo e inizia a nascere in me il pensiero di tornare a casa. Ma la cosa che mi fa rabbia è che sono 5 anni che lavoro per il miglior servizio di chirurgia plastica d’Europa, ma mai nessuno ha pensato di chiamarmi e chiedermi come stessero andando le cose. Io torno in Italia se qualcuno mi dice di tornare, sennò resto qua. Ma se qualcuno mi chiama e dice “dottor Wirz, lei deve tornare a casa”, significa che qualcosa, in Italia, sta veramente cambiando».
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