Maria Erminia Bottiglieri (FNOMCeO): «Questionari e formazione, così si può contrastare il fenomeno»

«Per la politica ci sono sempre altre priorità, ma serve una legge ed un fondo ad hoc», sottolinea la referente dell’Area strategica Professione della Federazione degli Ordini. E poi racconta: «Una volta ho rischiato anche io»

Per tre anni ha coordinato l’Osservatorio Professione medica e odontoiatrica al Femminile e spesso si è dovuta occupare del tema delle aggressioni agli operatori sanitari considerando che, dati della FNOMCeO alla mano, il 70% delle aggressioni di queste avviene nei confronti delle professioniste donne. Maria Erminia Bottiglieri, Presidente OMCeO Caserta, è ora alla guida dell’Area strategica Professione della Federazione degli Ordini, e la sicurezza nei luoghi di lavoro sarà una delle priorità del suo mandato. Lo scorso settembre ha aderito, insieme ad altri apicali della sanità, ad una lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in cui si chiedeva di porre attenzione su questo grave problema. «Il tema della violenza a danno degli operatori sanitari – afferma Bottiglieri a Sanità Informazione – deve essere inserito tra le priorità che le istituzioni e la politica devono affrontare. Ora non è così».

Presidente, recentemente è nato l’Osservatorio permanente contro la violenza sugli operatori sanitari. Lei si è occupata del tema delle aggressioni ai camici bianchi e ora si occupa dell’area delle Professioni della FNOMCeO. Si sta smuovendo qualcosa?

«L’area strategica della Professione non è incentrata solo sul tema della violenza a danno degli operatori sanitari ma si occupa di tutti i problemi della professione. Ovviamente uno dei problemi prioritari da trattare sarà proprio quello della violenza a danno degli operatori sanitari. Mi sono insediata da poco, ho già partecipato ad una riunione con il Comitato centrale la scorsa settimana, adesso comincerò a lavorare sui vari aspetti. È molto importante questo tavolo concordato tra la Federazione e il Ministero e speriamo che al più presto si passi alla fase pratica nel senso che si prendano delle iniziative che mettano i colleghi e in particolare le colleghe nelle condizioni di lavorare un po’ più in tranquillità. Ritengo personalmente che i numeri siano molto più elevati rispetto a quelli che vengono dichiarati perché vengono pubblicati quelli relativi alle aggressioni fisiche, ma ci sono poi le tante aggressioni verbali che andrebbero prese in considerazione».

A volte accade che le aggressioni neanche vengono denunciate…

«Non vengono denunciate alle autorità giudiziarie. Io penso sempre al problema femminile: spesso le donne nei reparti non denunciano perché hanno paura che la loro carriera venga bloccata, che possano essere emarginate. Secondo me il discorso della violenza dev’essere distinto: esiste la violenza fisica ma anche la violenza psicologica. Il lavoro più difficile per me sarà quello di interfacciarsi con le istituzioni, con la politica, con le Regioni, perché questi problemi vengono sempre considerati importanti ma sempre secondari rispetto agli altri. Mi riferisco anche al discorso della violenza di genere: da tre anni è in vigore la legge che istituisce i “percorsi rosa”, una corsia preferenziale presso i Pronto soccorso per le vittime di violenza di genere. Li abbiamo sollecitati, ma non sono ancora stati creati. Quando io stessa ho chiesto spiegazioni a qualche azienda ospedaliera mi hanno risposto che ci sono altre priorità. Il tema della violenza a danno degli operatori sanitari deve essere inserito tra le priorità che le istituzioni e la politica devono affrontare, ora devo dire che non è così».

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Lei e altre colleghe avete inviato lo scorso settembre una lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella chiedendo l’interessamento sia del Ministro dell’Interno che del Ministro della Salute sul tema delle aggressioni. In questi mesi c’è stata l’attenzione che voi vi aspettavate su questo preoccupante fenomeno?

«No. I risultati parlano chiaro. Purtroppo vediamo che le violenze sono aumentate. In alcune regioni io vedo che le violenze sono quotidiane, nelle altre ritengo che queste situazioni non vengano tutte denunciate, forse persino quelle fisiche. Infatti noi volevamo partire con un questionario da sottoporre. Questa è una delle ultime proposte che è arrivata dall’Osservatorio della professione medica e odontoiatrica al femminile che io ho coordinato nel precedente triennio che si è concluso nel dicembre 2017. Con le altre colleghe avevamo l’obiettivo anche di sottoporre un questionario per verificare e far venire fuori il sommerso. Un questionario abbastanza articolato per capire tanti aspetti della stessa problematica e quindi penso che noi partiremo proprio da questo. Non vedo ancora risultati: pensiamo alle guardie mediche messe in posizioni molto isolate, dove spesso non ci sono neanche i videocitofoni, quando i colleghi rispondono non sanno chi è, chiunque si può presentare dall’altra parte. Non ci sono fondi per garantire una guardia giurata, addirittura i soldi per far accompagnare le colleghe che devono recarsi a domicilio dei pazienti. Perché spesso sono proprio i medici della continuità assistenziale quelli più soggetti a queste violenze. Gli operatori sanitari più esposti a queste violenze sono, oltre alle guardie mediche, quelli che lavorano nei reparti di urgenza e emergenza, nei Pronto soccorso, nei reparti di rianimazione. Una cosa importante che avevamo deciso sempre nell’Osservatorio e che abbiamo comunicato e pubblicato in occasione dell’incontro di Rimini dove c’era tutta la Federazione nazionale è la proposta di un corso di formazione da somministrare agli operatori sanitari, soprattutto agli operatori esposti, per capire come affrontare queste situazioni».

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Un’altra proposta che ho sentito da molti suoi colleghi è quella di garantire ai medici o gli operatori sanitari di non essere mai soli. In realtà non sempre questo è possibile…

«Ma non è possibile perché, ad esempio in un piccolo ospedale, la guardia giurata è una sola per tutto il presidio. Come può un’unica guardia giurata garantire la sicurezza a tutto il presidio? Andiamo a chiedere e ci rispondono: non ci sono i soldi. Bisogna fare delle leggi, dei programmi per cui bisogna stanziare dei soldi ad hoc su questo problema».

Immagino che con il nuovo governo sarà una vostra priorità far presente queste proposte…

«Il Ministro ha istituito l’Osservatorio in cui ci sarà direttamente il Presidente della FNOMCeO Filippo Anelli. Noi siamo al suo fianco, io porterò avanti questa battaglia: l’obiettivo principale è quello di ottenere una riduzione della percentuale delle violenze».

Nella sua carriera medica le è capitato di assistere o comunque di avere avuto modo di confrontarsi con queste situazioni?

«Non sono stata aggredita direttamente ma ho rischiato. Una volta facevo parte di una commissione. Un candidato non è stato inserito in graduatoria, cosa che poi non dipendeva da me ma era un problema dell’amministrazione e me lo sono trovato nel corridoio. Prima lui, poi il padre. Ho chiamato la guardia giurata e ho denunciato l’accaduto. Nel mio ospedale sono accadute situazioni gravi, gente che è entrata, ha rotto i vetri, ha bastonato gli operatori del Pronto soccorso, anche in maniera gratuita. La giustificazione non c’è mai, ma loro sono entrati e hanno cominciato direttamente ad aggredire gli operatori».

 

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