Studio rivela: dai cardiologi ai ginecologi, dieci specializzazioni a rischio estinzione. Palermo: «Aumentare le borse di studio o far accedere i giovani medici al Ssn dopo la laurea». Il Presidente della Federazione dei pediatri chiede al futuro Ministro della Salute una «programmazione seria»
Pediatri, igienisti, cardiologi, ginecologi, ortopedici e tanti altri. Tra qualche anno potrebbe diventare complicato trovare uno di questi specialisti, soprattutto nelle zone periferiche del Belpaese. L’allarme lo ha lanciato l’Anaao Assomed che ha messo nero su bianco i numeri di quella che sta diventando una vera e propria emergenza. Colpa da un lato dei pensionamenti, sempre più numerosi, e dall’altro dei pochi posti disponibili nelle scuole di specializzazione. Un combinato disposto che, se non affrontato, può portare a gravi conseguenze soprattutto per il nostro Servizio sanitario nazionale.
Se la Fimmg di Silvestro Scotti ha già lanciato l’allarme per quel che riguarda i medici di base, meno noti sono i numeri che riguardano le altre specializzazioni. Secondo l’Anaao nel quinquennio 2018/2022 usciranno dal Ssn per pensionamento circa 30mila medici ospedalieri, cui sono da aggiungere ulteriori 5mila specialisti tra universitari e ambulatoriali convenzionati. Sono dieci in tutto le specializzazioni a rischio.
«Le specializzazioni in crisi sono quelle su cui si è sviluppato il Servizio Sanitario Nazionale dalla sua nascita 40 anni fa. Si tratta di medicina interna, chirurgia generale, pediatria in generale, ortopedia e cardiologia. Queste materie rappresentano l’asse portante degli ospedali italiani», spiega a Sanità Informazione Carlo Palermo, vice segretario nazionale Anaao Assomed.
La riduzione del personale potrebbe portare, secondo il sindacato, ad un ulteriore calo dei posti letto, fino a 40mila in meno, portando il rapporto al di sotto del 2,5 per mille abitanti.
Più in dettaglio, nel 2014-2023 raggiungeranno i requisiti per andare in pensione 5.189 pediatri, si faranno contratti di formazione per 2.900 specialisti e dunque ne mancheranno all’appello circa 2.289. Allarmanti anche i dati degli igienisti: 4.006 andranno in pensione, 1.400 ne arriveranno e la carenza stimata è di 2.606 specialisti. Quanto ai cardiologi, ne andranno in pensione 3.615, se ne formeranno 2.480 e dunque la carenza stimata è di 1.135 professionisti. Poco meno degli specialisti in chirurgia generale: 4.054 appenderanno il camice al chiodo, e con 2.710 new entry le ‘assenze’ saranno 1.344. Altro dato allarmante quello di ginecologia: tra addii (3.674) e ingressi (2.160) il saldo negativo è pari a 1.514. Ancora un tasto dolente, questa volta per psichiatria: 2.482 specialisti andranno in pensione, 1.820 entreranno in servizio e dunque ne mancheranno 662. Quanto a medicina interna la differenza tra pensionati (2.804) e neospecialisti (2.280) è pari a – 524. Quanto a ortopedia, urologia e geriatria le carenze stimate sono rispettivamente pari a 182, 143 e 142 specialisti.
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«Se continua così saremo costretti, per mantenere la qualità del SSN, a rinunciare agli specialisti», spiega Palermo, che lancia la sua ricetta: «La soluzione è allargare le borse di studio per poter coprire le esigenze future. Se questo non fosse possibile allora bisognerebbe consentire l’ingresso dei giovani laureati nel SSN, negli ospedali e nei servizi territoriali, appena dopo la laurea. Funzionava così nel 1980 quando la specializzazione si acquisiva dopo. Allora potremmo immaginare delle assunzioni a tempo determinato di medici, in aggiunta alle dotazioni organiche attuali, con contratti di formazione lavoro finalizzati a fare acquisire la professionalità e le competenze necessarie ad un percorso specialistico e quindi accedere anche in soprannumero ai corsi di formazione».
IL CASO PEDIATRI
In cima alla lista delle professioni a rischio ‘estinzione’ c’è quella del pediatra. Colpa non solo della carenza di medici ma anche del calo delle nascite che colpisce ormai da anni il nostro Paese. E il rischio è che in alcune zone d’Italia possa diventare sempre più difficile trovare un pediatra.
«C’è bisogno di un segnale positivo in una prospettiva futura di mantenimento del Servizio sanitario nazionale – spiega a Sanità Informazione Paolo Biasci, neopresidente della FIMP – Federazione Italiana Medici Pediatri -. Se non c’è una programmazione e aspettiamo che accadano i guai è chiaro che poi per ovviare ai problemi ci vogliono anni. Nel caso nostro specifico della pediatria la specializzazione richiede cinque anni. Non è un problema di medici perché annualmente le borse di studio di specializzazione sono un numero inferiore al 50% dei medici che vorrebbero specializzarsi. Ciò vuol dire che il numero dei medici c’è ma è il numero degli specialisti che non c’è».
La soluzione è quindi aumentare il numero delle borse di studio, anche se non è l’unico fattore risolutivo. «Il numero delle borse di studio dipende da due fattori: i soldi per sostenerle e le strutture. I medici devono lavorare ma devono anche formarsi. Servono risorse e strutture», spiega Biasci, che però frena rispetto all’allarme lanciato dall’Anaao.
«Rispetto alla medicina generale, la pediatria ha altri parametri – afferma Biasci -: innanzitutto la specializzazione dura di più, cinque anni, e la programmazione è più a lungo termine. In secondo luogo non sappiamo quanti sono i pediatri di cui effettivamente c’è bisogno per due motivi: l’impressionante carenza delle nascite e l’incertezza dei livelli organizzativi che saranno previsti per i pediatri nella prossima convenzione». Tuttavia se non si interviene lo scenario è destinato a complicarsi: «I numeri dicono che dopo il 2020, e in particolare dopo il 2025 ci sarà un vertiginoso aumento dei pensionamenti – afferma Biasci – E quindi, siccome servono cinque anni per la specializzazione, è chiaro che c’è una certa esigenza di tamponare la situazione». Non resta che sperare che il prossimo governo si adoperi per far fronte alla situazione: «Chiediamo al prossimo Ministro della Salute – conclude Biasci – innanzitutto di far capire concretamente ai cittadini italiani che esiste un futuro certo e sicuro del Servizio sanitario nazionale, che questo sia equo e solidale verso tutti. Come pediatra spero che voglia mettere in campo una programmazione seria, noi come FIMP rappresentiamo più del 70% dei pediatri di famiglia italiani e siamo a disposizione per dare il nostro contributo di proposte e di idee e per cercare di fare una programmazione che possa ovviare agli eventuali problemi che ci saranno tra qualche anno».