Nel mondo finora solo tre interventi di questo tipo. A Roma l’autore del terzo trapianto, Curtis Cetrulo. L’urologo Salvatore Sansalone: «Una delle difficoltà maggiori è trovare famiglia disposta a cedere organo»
Finora in tutto il mondo ne sono stati realizzati tre e solo uno è pienamente riuscito. Parliamo del trapianto di pene, un intervento ancora raro ma sempre più richiesto. Sono infatti migliaia gli uomini che ne hanno bisogno: le cause di amputazione del pene possono essere le più svariate, da traumi lavorativi a infezioni dovute a circoncisioni, fino al tumore che nei casi più gravi richiede l’amputazione. Colpa anche delle malattie a trasmissione sessuale: l’infezione da HPV è responsabile del 30-40% dei casi.
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«Una delle difficoltà maggiori è quella di trovare un organo non solo compatibile ma che la famiglia del donatore sia disposta a cedere – spiega il professore Salvatore Sansalone, Direttore Scientifico del Congresso e Direttore del Centro di Chirurgia Genito-Urinaria della Clinica Sanatrix di Roma – Ma è al termine dell’intervento che inizia l’avventura, un periodo post operatorio in cui è possibile che l’organo non attecchisca correttamente, venga rigettato dall’organismo del ricevente o non sia funzionante in maniera corretta».
L’intervento è molto complesso e richiede fino a 15 ore di sala operatoria: comporta anche delicate implicazioni etiche e psicologiche. Di questo si è discusso al Congresso “Frontiers in Genito-Urinary Reconstruction” al Policlinico Tor Vergata di Roma, a cui hanno partecipato alcuni dei massimi esperti mondiali come Curtis Lisante Cetrulo, della Harvard School of Medicine di Boston e autore del terzo trapianto al mondo, Salvatore Sansalone, Giuseppe Vespasiani, Guido Barbagli, Filippo Maria Boscia, Presidente Associazione Nazionale Medici Cattolici, la psicosessuologa Valeria Randone, David Ralph, Past president della ESSM, il Cardinale Edoardo Menichelli, Assistente Ecclesiastico Nazionale Associazione Medici Cattolici Italiani.
L’intervento è molto complesso e richiede fino a 15 ore di sala operatoria: comporta anche delicate implicazioni etiche e psicologiche. Di questo si è discusso al Congresso “Frontiers in Genito-Urinary Reconstruction” al Policlinico Tor Vergata di Roma, a cui hanno partecipato alcuni dei massimi esperti mondiali come Curtis Lisante Cetrulo, della Harvard School of Medicine di Boston e autore del terzo trapianto al mondo, Salvatore Sansalone, Giuseppe Vespasiani, Guido Barbagli, Filippo Maria Boscia, Presidente Associazione Nazionale Medici Cattolici, la psicosessuologa Valeria Randone, David Ralph, Past president della ESSM, il Cardinale Edoardo Menichelli, Assistente Ecclesiastico Nazionale Associazione Medici Cattolici Italiani.
«La chirurgia ricostruttiva dell’apparato genitale ha ancora qualche tabù – spiega a Sanità Informazione Giuseppe Vespasiani, Presidente della Società Italiana di Urologia – nel senso che gli interventi vengono praticati per patologie estremamente importanti e invalidanti per l’uomo quali l’incontinenza urinaria, la disfunzione erettile, l’impotenza grave. Quindi l’utilizzo di protesi per risolvere questa tipologia di problemi indubbiamente crea qualche problema anche al paziente stesso. Però stiamo assistendo negli ultimi anni ad un miglioramento di questa situazione per cui sempre più uomini si rivolgono a noi per cercare di risolvere questo tipo di problemi. L’importanza di questo convegno è legata soprattutto al fatto che per la prima volta in Italia si è parlato di trapianto del pene. Una condizione deturpante del pene per motivi iatrogeni cioè dovuti ad interventi chirurgici o per patologia malformativa determina uno stato psicologico e sociale veramente molto molto imbarazzante per un paziente soprattutto se giovane non meno di quanto può essere un volto deturpato, la perdita di un braccio, la perdita di una mano. Le prime esperienze hanno dimostrato che il trapianto di pene è un trapianto tecnicamente possibile e sta soltanto a noi trovare la maniera etica più corretta per portarlo avanti».
Tra le incognite, oltre agli aspetti psicologici, anche la necessità per il paziente che ha subito il trapianto di una terapia immunosoppressiva a vita con rischi per la salute dei reni e la possibile insorgenza di tumori.