È stato selezionato dalla rivista americana come una delle cento persone più influenti del mondo del 2018. Ha effettuato il primo trapianto di utero negli Stati Uniti in una donna che ha poi avuto un bambino. Lavora al Baylor University Medical Center di Dallas. Tornare in Italia? «La realtà della medicina che conosco è quella americana»
«Un giorno, ad un congresso di bioetica, ho sentito parlare per la prima volta di trapianto di utero. Mi ha appassionato e ho iniziato a studiarlo». Parte da qui la strada che ha portato Giuliano Testa, chirurgo padovano che lavora al Baylor University Medical Center di Dallas, ad essere selezionato dalla rivista Time come una delle cento persone più influenti del mondo del 2018. Ha eseguito il primo trapianto di utero negli Stati Uniti che ha permesso alla paziente di diventare mamma. Ed è proprio lei che ha scritto la presentazione del chirurgo Testa: «Sono nata senza utero e mi è sempre stato detto che non sarei stata in grado di partorire. Nel 2016 ho incontrato Giuliano Testa, che aveva riunito un team di esperti per una sperimentazione clinica, e sono stata una delle dieci donne selezionate per partecipare. Dopo alcuni mesi avevo un utero funzionante e lo scorso novembre ho partorito un bel bambino in salute. È stato l’onore della mia vita essere una piccola parte del miracolo del dottor Testa».
«Non mi aspettavo assolutamente di ricevere questo importante riconoscimento – dichiara Testa a Sanità Informazione – ma mi rende orgoglioso. È sempre una cosa bella quando qualcuno che non ha niente a che vedere con il tuo campo riconosce il valore di quello che hai fatto». E, come ha sottolineato la paziente, il lavoro del dottor Testa permette veramente di dare una speranza a quelle donne che si sono sentite dire che non avrebbero potuto dare alla luce un figlio perché nate senza utero o con utero non funzionante.
«Sono 22 anni che faccio trapianti di fegato, rene e altri organi addominali – ci racconta – Quando ho sentito parlare di trapianto di utero sono riuscito a convincere l’istituzione dove lavoravo a darmi i fondi per iniziare questo progetto che poi ha portato i frutti che oggi tutti conoscono. Abbiamo iniziato a lavorarci nel 2014, è maturato nei due anni successivi e la nascita è avvenuta nel 2017. Ci sono già due mamme che hanno avuto il loro bambino, abbiamo altre due mamme che hanno ricevuto il trapianto ma ancora non hanno avuto l’impianto dell’embrione. A maggio avremo altri due trapianti e il prossimo anno ne sono in programma altri dieci, quindi il programma sta crescendo».
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Ma nonostante la sua vita sia ormai negli Stati Uniti, il dottor Testa si sente «italiano al 100%, fino al midollo, e sono completamente un prodotto della scuola italiana, di cui sono orgogliosissimo. Ma ho scelto di trasferirmi qui perché volevo seguire una strada diversa rispetto ai miei colleghi. Volevo vedere se era vero che negli States si può fare chirurgia ad un’età più giovane rispetto all’Italia. Poi la carriera è proseguita qui e ormai la realtà della medicina che io conosco è quella americana».
Ride quando gli chiediamo se avrebbe ottenuto gli stessi risultati in Italia: «Sinceramente non saprei rispondere. Credo che in Italia ci siano delle professionalità a livello mondiale, ma il successo è anche legato all’ambiente in cui si vive, alle opportunità offerte, alla formazione culturale o all’istituzione dove si lavora. Io ho avuto la fortuna di lavorare in un posto con un’amministrazione disposta a rischiare su un progetto del genere e su una persona come me».
Non sa se tornerebbe in Italia, anche se un’offerta dal nostro Paese «non è mai arrivata». E se arrivasse «dovrei domandarmi – riflette – cosa potrei portare di diverso da offrire all’Italia. E più che altro dovremmo capire perché alcune eccellenze in Italia non vengono notate, valutate o valorizzate allo stesso modo». A tal proposito, il dottor Testa ci dice di non aver ricevuto alcun messaggio di complimenti, dopo l’importante riconoscimento ottenuto, da parte delle istituzioni italiane: «Non mi ha chiamato nessuno, oltre agli amici e ai familiari che mi conoscono sin da bambino. Però adesso non mi metta nei guai…», conclude amaro.