«La centralizzazione del sistema sanitario è stata bocciata dagli italiani con l’ultimo referendum. Basta pagare per le inefficienze di altri», spiega il forzista riconfermato nella Giunta Fontana. Poi aggiunge: «Servirebbero presìdi della polizia nei pronto soccorso contro le aggressioni al personale sanitario»
Da cinque anni è il custode della sanità lombarda. L’exploit alle ultime elezioni regionali, dove con oltre 11mila preferenze è stato il più votato del centrodestra, è valsa all’avvocato Giulio Gallera, Forza Italia, la riconferma nella Giunta guidata dal leghista Attilio Fontana nella fondamentale casella dell’assessorato al Welfare. I primi mesi sono stati subito impegnativi: nella prima giunta il dimezzamento del ticket sanitario regionale passato da un massimo di 30 a un massimo di 15 euro, una misura che riguarda un milione e mezzo di lombardi. Poi i casi di corruzione e malasanità al Pini e al Galeazzi e l’annuncio di uno «sforzo straordinario contro la corruzione». E il piano regionale della cronicità da portare avanti ma ancora oggetto di critiche. «Un po’ di resistenze sono fisiologiche», spiega Gallera a Sanità Informazione, «cercheremo di tenere in considerazione le esigenze di tutti, ma sono certo che si sgretoleranno le paure e i timori di tutti e renderemo vincente questo modello».
Assessore, nella prima giunta, come aveva annunciato, è stato dimezzato il ticket sanitario regionale. A quando l’abolizione?
«Quando avremo le risorse per farlo. E quando il governo nazionale ci consentirà di trattenere sul nostro territorio una quantità maggiore di risorse».
Nei giorni scorsi è scoppiata una polemica sulla ripartizione del fondo per la riduzione del ticket. Secondo Cittadinanzattiva, FNOMCeO e FIMMG, svantaggerebbe le regioni del sud. Condivide questa preoccupazione?
«Non mi risulta. Il modello di federalismo che noi abbiamo in mente è quello della risposta dei territori. Cioè un modello per cui, ed è il motivo del nostro referendum e dell’accordo che abbiamo concluso con il governo in attesa della ratifica del Parlamento, si attribuiscono alle regioni che dimostrano di essere virtuose e di saper gestire in maniera efficiente alcuni servizi, in questo caso il Servizio Sanitario, maggiori gradi di autonomia. Laddove ci sono delle carenze sanitarie, queste sono dovute ad una gestione non performante da parte dei governi regionali. Quindi il meccanismo non è quello di attribuire più risorse a chi in questo momento è più deficitario ma stimolarlo garantendo più flessibilità e più risorse quando introduce miglioramenti significativi nell’erogazione dei servizi».
Tuttavia in molti stanno contestando la riforma del Titolo V alla base di una eccessiva regionalizzazione della sanità. L’ultimo rapporto Osservasalute ha certificato che al sud l’aspettativa di vita è minore rispetto al nord…
«Guardi, la centralizzazione dei servizi del sistema sanitario è stata bocciata sonoramente dai cittadini con la bocciatura del referendum costituzionale. Il referendum prevedeva l’accentramento dei servizi, soprattutto dei servizi sanitari. Quindi, quello che vogliono i lombardi non è un appiattimento verso il sud. La ricetta è esattamente il contrario: la responsabilità dei territori, lasciamo che siano i cittadini a scegliere i propri amministratori in grado di migliorare i servizi. I lombardi non vogliono pagare per le inefficienze di altri».
In questi giorni sta esplodendo il tema delle aggressioni agli operatori sanitari. In questa particolare graduatoria, la Lombardia è terza tra le regioni con il 12% delle aggressioni. Come si può porre un freno a questo fenomeno?
«È un percorso che abbiamo più volte approfondito. Abbiamo messo in campo alcune misure, però anche i pronto soccorso, che sono i luoghi in cui tutto questo avviene, dovrebbero essere in gran parte presidiati dalle forze dell’ordine. Purtroppo le ristrettezze di bilancio ed economiche delle forze dell’ordine per ora non hanno consentito delle presenze così strutturate e costanti. Noi abbiamo messo telecamere e sistemi di sicurezza che avvisano e avvertono quando ci sono situazioni di difficoltà. Purtroppo questo percorso non risulta essere sufficiente. Ci vuole un maggiore sforzo da parte di tutti. Noi qualche volta mettiamo anche delle guardie giurate che però non riescono ad avere quell’efficacia necessaria nell’intervento perché non hanno compiti di polizia e quindi difficilmente possono intervenire sulle persone. Anche qui è un problema su cui noi stiamo lavorando anche con le prefetture con cui abbiamo un tavolo aperto però ad oggi non abbiamo risultati soddisfacenti».
Lei spera ancora di portare l’Agenzia europea del Farmaco a Milano o ci ha messo una pietra sopra?
«Ogni sforzo è encomiabile, apprezzabile e va sostenuto. Purtroppo le speranze sono diminuite notevolmente dopo la votazione del Parlamento europeo che ha ritenuto idonea la collocazione di Amsterdam nonostante i dossier, le mancanze, le omissioni degli olandesi. Mi sembra che oggi la speranza è ridotta al lumicino, sempre che ci sia ancora un lumicino. Non sono particolarmente ottimista».
Parliamo del Piano cronicità. La Lombardia è l’unica regione a fare questo piano. Il percorso però non è stato agevole, non sono mancate le critiche. Quali sono i punti di forza di questo piano e come risponde alle critiche?
«Noi stiamo costruendo un modello profondamente innovativo. Il mondo va verso un invecchiamento della popolazione e verso la crescita del numero dei pazienti cronici perché la ricerca, le innovazioni in termini di farmaci e in termini di macchinari che vengono utilizzati cronicizzeranno sempre di più un numero ancora più alto di malattie. È chiaro i servizi di cui necessita il cittadino, colui che usufruisce della sanità, sono diversi rispetto a quelli per cui è stato strutturato il sistema italiano che è ospedalocentrico: nasceranno servizi sul territorio, servizi di accompagnamento, di presidio del decorso della patologia, di organizzazione della vita del paziente cronico. Quello è il futuro, noi lo stiamo attuando. Tutto questo è un cambio culturale notevole, vi sono un po’ di resistenze ma sono fisiologiche. Ci sono delle critiche, delle resistenze, ma una volta che si attua queste resistenze si supereranno. Con il dialogo, con il confronto continuo, senza mai deflettere dagli obiettivi, ma cercando di tenere in considerazione le esigenze di tutti, si sgretoleranno le paure e i timori di tutti e renderemo vincente questo modello che, se mi consente, può essere l’unico modello che forse può tentare di garantire la sopravvivenza del Sistema sanitario italiano che è un sistema universalistico».
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Ultimamente ci sono stati diversi episodi di corruzione al Pini e al Galeazzi, c’è stata anche la sospensione di alcuni medici. Lei ha usato parole molto dure a proposito. È possibile secondo lei prevenire episodi di questo tipo?
«È molto difficile prevenire fenomeni di malasanità se non c’è una presa di coscienza collettiva del comparto medico e sanitario. È inaccettabile e incomprensibile che dopo un evento di corruzione che esplode e finisce sui giornali scopriamo che i giudizi che davano i colleghi rispetto alle azioni di questo medico o quest’altro erano profondamente negativi rispetto alle modalità di azione, rispetto alla congruità degli interventi messi in campo. È come se in questa città si vedono delle persone che rubano i portafogli e la gente si gira costantemente dall’altra parte. Per prima cosa ci dev’essere una presa di coscienza, di responsabilità, un segnalare, un emarginare coloro che si comportano in maniera non professionalmente corretta. Dall’altra parte è evidente che noi continueremo a moltiplicare gli sforzi di controllo rispetto all’attività di corruzione provando a tenere distinti i rapporti tra le aziende e i medici, ma anche qui è evidente che se non si parte da un’eticità della professione e di un comportamento del singolo per noi diventa difficile agire».