«Intervenite entro 4-6 ore dalla comparsa dei primi sintomi può salvare la vita. Ma attenzione ai falsi allarmi: rischiano di affollare i pronto soccorso». Le raccomandazioni di Gianluigi Mancardi, Presidente della Società Italiana di Neurologia
“Durante una grigliata Federica cade. Qualcuno vuole chiamare l’ambulanza ma lei rialzandosi dice di essere inciampata con le scarpe nuove”. La storia di Federica, raccontata in una delle tante Catene di Sant’Antonio, non è a lieto fine: dopo alcune ore la donna muore per un ictus cerebrale.
Un tempo si scrivevano a mano ed avevano il solo scopo di ottenere un aiuto ultraterreno in cambio di preghiere e devozione ai santi, la devozione maggiore, non a caso, era diretta a proprio a Sant’Antonio. Oggi, basta un click e il gioco è fatto: in pochi secondi la Catena ha già raggiunto decine di destinatari. Ma nel corso degli anni, oltre al mezzo di comunicazione, è cambiato anche il contenuto. Le notizie diffuse riguardano svariati argomenti e non risparmiano nemmeno le tematiche più delicate, come le gravi patologie, appunto.
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Ma queste informazioni virali fanno bene o male alla nostra salute? Lo abbiamo chiesto a Gianluigi Mancardi, presidente della Sin, la Società Italiana di Neurologia, e direttore della clinica Neurologica dell’università di Genova.
«Per verificare l’attendibilità di una messaggio – ha spiegato Mancardi – bisogna controllarne la fonte. Per ogni patologia esiste una Società Scientifica a cui fare riferimento. Per l’ictus, ad esempio, ci si può informare proprio attraverso la Società che presiedo. La Sin, infatti, è già promotrice di un processo formativo della popolazione. Due i temi centrali delle nostre campagne: informare dell’esistenza di terapie molto efficaci per l’ictus e sensibilizzare all’ascolto dei sintomi, all’esordio dei quali bisogna recarsi immediatamente ad un centro attrezzato. Quando dico immediatamente – ha sottolineato Mancardi – intendo dire entro 4-6 ore dalla comparsa del primo sintomo. Intervenendo in questo lasso di tempo, se non ci sono particolari controindicazioni, è possibile fare delle terapie fibrinolitiche che possono – talvolta non sempre – sciogliere il coagulo e permettere la ricanalizzazione del vaso».
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«Esistono, poi – ha aggiunto Mancardi – delle campagne di informazione, come quelle dei paesi anglosassoni, che si chiamano FAST (acronimo di Facial drooping, Arm weakness, Speech difficulties and Time to call emergency service). Questo tipo di iniziative puntano a facilitare la memorizzazione del sintomo. Ci insegnano, ad esempio, che se una persona presenta un’alterazione del volto, una caduta dell’angolo della bocca o del braccio, potrebbe essere stata vittima di un ictus. Questi sintomi devono indurre il paziente, o chi gli sta accanto, ad andare in ospedale. Ecco, campagne promozionali come questa che ho descritto possono avere una certa utilità ed efficacia, ammesso che siano sempre condotte sotto il controllo delle Società Scientifiche di riferimento».
E se l’effetto prodotto fosse quello di creare dei falsi allarmi e sovraffollare i pronto soccorso? «Non c’è dubbio che questo rischio esiste. Perciò ho più volte ribadito la necessità che a dare questo tipo di informazioni siano esclusivamente gli specialisti». Allora, per fugare ogni dubbio sull’argomento, non resta che chiedere all’esperto, quali sono i sintomi dell’ictus?
«Difficoltà a parlare, caduta del braccio, caduta a terra, diminuzione della forza nella gamba e modificazione del volto, come la caduta dell’angolo della bocca. Questi – ha concluso il presidente della Sin – possono essere segni di una lesione ischemica o emorragica improvvise, quindi di un ictus».