«L’infezione rimane latente in alcuni animali definiti ‘serbatoi’ e quando l’uomo entra in contatto con qualche specie infetta ecco che torna il focolaio». L’intervista al Direttore dell’Area Malattie Infettive del Policlinico Gemelli di Roma
«L’errore è nel pensare che quando non si parla più di una malattia è perché questa non esiste più». Roberto Cauda, Direttore dell’Area di Microbiologia e Malattie Infettive del Policlinico Gemelli di Roma, si riferisce a Ebola, la febbre emorragica che dopo l’epidemia del 2013-2016, torna a colpire l’Africa.
Ebola, che uccise 11mila persone negli anni passati, si riaffaccia nella regione congolese del Bikoro e «ha messo in moto la macchina organizzativa mondiale», sottolinea il Professore. «Eppure – prosegue – anche se in molti parlano di ‘virus che ritorna’ in realtà la malattia non se n’è mai andata, non è mai scomparsa del tutto: infatti rimane ibernata in alcuni animali cosiddetti ‘serbatoio’ che custodiscono il virus e quando si verificano contatti tra uomo e animale contaminato, questa riemerge e si manifesta». Il virus può infettare l’uomo quando il soggetto entra in contatto con sangue o fluidi corporei di un animale infetto e, purtroppo, «non esiste ancora una terapia specifica», aggiunge Cauda.
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«Tuttavia il vaccino adesso a disposizione sembrerebbe efficace – spiega Cauda – insieme al cocktail di anticorpi monoclonali ricavati in laboratorio». Questo cocktail è il risultato – come scrive le Scienze – di anticorpi scoperti nel sangue di un sopravvissuto a un’epidemia del 1995 che si sono dimostrati in grado di proteggere l’uomo dall’infezione.
«Per questa nuova epidemia sono per ora disponibili 4mila dosi di vaccino – aggiunge il Professore – e avendo reperibile il cocktail di anticorpi monoclonali, speriamo di riuscire a contenere questo focolaio, ma è ancora presto per tracciare bilanci. I conti si fanno alla fine».
«L’elemento che ha destato maggiore preoccupazione – prosegue il Direttore – è che questa volta in Congo c’è stato un caso in un’area urbana di 1 milione 200mila persone. In passato c’erano stati casi in altre città, ma finora mai in Congo, ed è chiaro che questo elemento di ‘novità’ ha destato ancor più paura tra la popolazione».
«Di fatto – conclude – come ho già detto, è difficile fare ipotesi o considerazioni affrettate. Sicuramente è prematuro parlare di pandemie oppure sminuire il contagio definendolo ‘semplice focolaio in via di risoluzione’, e come ho scritto nel mio libro (‘Vita & pensiero – Ebola, occasione mancata tra scienza e solidarietà’ ndr.): ‘le domande sulla diffusione dell’Ebola fanno parte di quelle che non possono ricevere risposte certe, e ciò viene avvertito dall’opinione pubblica come un elemento di incertezza, che può sfociare nella sfiducia. D’altro canto un’eccessiva rassicurazione da parte delle autorità competenti può ancor di più essere percepita dall’opinione pubblica come il tentativo di tener nascosta la verità’».