Ricercatori dell’Università di Sydney hanno individuato un agente patogeno che colpisce i gatti della stessa famiglia dell’epatite B negli esseri umani. «Nessun rischio di trasmissione da animale a uomo» così il Vice Presidente della Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva SIMeVeP
Un nuovo virus che colpisce i felini simile all’epatite B: è il risultato di una ricerca condotta dai ricercatori dell’Università di Sidney in Australia e pubblicata sul mensile scientifico Viruses. L’agente patogeno, rinominato hepadnavirus, non è pericoloso per l’uomo ed è stato identificato in un campione di linfoma appartenente ad un gatto domestico. A fare chiarezza su questa malattia e soprattutto sull’ipotizzata somiglianza con l’epatite B, è Vitantonio Perrone, Vice Presidente della Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva SIMeVeP.
Scienziati australiani hanno individuato un virus finora sconosciuto che colpisce i gatti e causa una malattia dei felini dello stesso ceppo a cui appartiene l’epatite B negli esseri umani. Di cosa si tratta?
«In effetti le ricerche condotte da studiosi di diversi istituti di Sidney hanno portato alla pubblicazione a maggio di un articolo sulla rivista Viruses in cui viene riportata la prima segnalazione in un gatto di sette anni di età affetto da linfoma di un nuovo agente virale della famiglia degli Hepadnaviridae di cui è stata portata a termine la caratterizzazione e che è stato denominato in via provvisoria domestic cat hepadnavirus. Ulteriori ricerche hanno dimostrato la sua presenza sia in gatti immunodepressi (6 su 60, 10%) sia sani (2 su 63, 3,2%) e questo dato sembra riproporre quanto si verifica in ambito umano nei confronti dell’infezione da virus dell’epatite B. Infatti anche il virus dell’epatite B dell’uomo fa parte della famiglia degli Hepadnaviridae».
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Si tratta di un virus che può essere trasmesso da animale ad animale? E nell’uomo?
«L’importanza della scoperta nel gatto sta nell’aver individuato il primo caso di infezione da hepadnavirus in un carnivoro e quindi anche in un’animale da compagnia mentre sinora non sono conosciuti reservoir zoonotici (trasmissione infetta da animale a uomo ndr) del virus dell’epatite B. La famiglia degli Hepadnaviridae si divide in due generi: Orthohepadnavirus associato ai mammiferi e Avihepadnavirus associato ai volatili e quello dell’epatite B e studi filogenetici fanno risalire a 15 mila anni fa la sua presenza nell’uomo».
L’università di Sidney sostiene che la scoperta di questo virus può fornire indizi sull’evoluzione dei virus responsabili di patologie epatiche: lei che ne pensa?
«Ogni scoperta in questi ambiti può risultare foriera, anche se non nell’immediato, di positive acquisizioni, basti pensare che più del 40% della popolazione umana è infettata dal virus dell’epatite B e che più di 600mila all’anno sono i decessi sono ascrivibili alle patologie epatiche croniche ad esso ascrivibili. Come detto non è ancora conosciuto un suo reservoir zoonotico ma molte sono le ricerche che riguardano i mammiferi selvatici tra cui primati umani e non umani e pipistrelli».