Salute 29 Maggio 2018 10:17

«Si rischia ad ogni turno la vita, ma voglio tornare lo stesso a fare il medico». Parla la dottoressa vittima di violenza

«L’unica soluzione è non rimanere mai soli» l’appello di Serafina Strano, la dottoressa catanese aggredita durante un turno notturno in guardia medica

«Si rischia ad ogni turno la vita, ma voglio tornare lo stesso a fare il medico». Parla la dottoressa vittima di violenza

Auspica un radicale riordino del sistema, soprattutto quello di Continuità Assistenziale, Serafina Strano, la dottoressa della Provincia di Catania violentata nella notte tra il 18 e il 19 settembre scorso durante una guardia notturna nell’ambulatorio di Trecastagni. Era un suo paziente quell’uomo che finse un malessere per accedere al presidio e rimanere solo con la Dottoressa. «Lo conoscevo, ed è per questo che mi sono fidata» ha raccontato la vittima a poche ore dall’aggressione. Oggi, trascorsi otto mesi da quella notte, si rivolge ai colleghi: «Non rimanete soli, questa è l’unica garanzia di sicurezza».

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Le aggressioni al personale sanitario sono una vera e propria emergenza non solo legata alla professione ma sociale. Lei purtroppo ha avuto esperienza diretta di questo fenomeno e l’ha denunciato, ha notato un cambiamento? È aumentato il livello di sicurezza?

«Purtroppo non è ancora avvenuto il cambiamento. Sono state fatte delle proposte, in alcuni presidi si stanno faticosamente installando dei dispositivi di allarme e attivando dei sistemi di videosorveglianza in  remoto, ma in base alla mia esperienza posso affermare che l’unico presidio che permetterebbe garanzia di sicurezza sarebbe non rimanere soli. Nel caso delle guardie mediche è la solitudine in cui si è costretti a lavorare che espone al rischio».

C’è maggiore sensibilità rispetto a questo tema?

«Non so se ci sia maggiore sensibilità al problema, io francamente ho ricevuto sino ad ora solidarietà ma non piena e comunque quasi esclusivamente di tipo formale».

Lei ha accusato alcuni colleghi di non esserle stati vicini, secondo lei perché?

«Purtroppo, e mi dispiace molto constatarlo, vera solidarietà, cioè fattiva, soprattutto dai colleghi più vicini (cioè parecchi di quelli che prestano servizio presso l’asp 3 di Catania) ne ho avuta veramente poca. Sono stata addirittura attaccata in maniera vergognosa da qualcuno. Evidentemente la mia denuncia, aver dimostrato pubblicamente che il sistema della Continuità Assistenziale presenta delle grosse falle, ha dato fastidio, forse a chi preferisce lavorare male, rischiando ad ogni turno la vita, per motivi che posso ipotizzare, ma preferisco non esprimere giudizi in tal senso».

Lei è tornata a lavorare?

«Ho chiesto, secondo i termini di legge, di tornare a lavorare ma non nell’ambiente delle Guardie mediche. Sono a tutt’oggi in attesa di ricollocazione definitiva presso un altro servizio».

Crede ancora nel suo lavoro dopo un’esperienza così traumatica?

«Io credo nel mio lavoro di medico, perché sono un medico e questo vorrei riprendere a fare pienamente, anche perché il lavoro mi fa stare meglio».

Che consiglio si sente di dare a colleghi che come lei hanno subito violenza per tornare a credere nella professione e nelle istituzioni?

«Faccio solo un invito: uniamoci insieme nella lotta per avere riconosciuti da parte dello Stato i nostri diritti così profondamente violati».

L’escalation di violenze nei confronti di professionisti sanitari in Italia è la spia di un sistema difettoso? È possibile che questo atteggiamento irriverente sia causato da una bassa considerazione del professionista sanitario?

«L’escalation di violenze è senz’altro la spia di un sistema profondamente malato. Noi medici, per diversi motivi, abbiamo in buona parte perso prestigio ed autorevolezza, e poi in particolare i medici degli ambulatori pubblici e dei Pronto soccorso sono bersagli facili di un disagio sociale che si esprime in maniera violenta».

A parte una maggiore sicurezza nei presidi, secondo lei cosa dovrebbe cambiare davvero?

«Per quanto riguarda il sistema della Continuità Assistenziale mi auspico un radicale riordino. Il servizio è indispensabile ma è vecchio di 40 anni. Deve essere riorganizzato e rimodulato in base alle nuove tecnologie, alle nuove esigenze sociali: potrebbe diventare un valido servizio atto a decongestionare i Pronto soccorso e potrebbe diventare anche un valido serbatoio occupazionale sia per i medici che per altre figure professionali sanitarie».

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