Elio Lopresti e Michele Trinchese sono 2 dei 300 ostetrici italiani a fronte di 22mila donne che svolgono la professione. «Una scelta in controtendenza ma non ci sentiamo discriminati, anzi»
Elio Lopresti, 49 anni, siciliano. Michele Trinchese, 33 anni, campano. Due storie di vita diverse, due generazioni distanti, ma unite da una passione comune: il “mistero” della nascita. Un amore che li ha spinti controcorrente fino a diventare due dei 300 ostetrici uomini presenti su tutto il territorio nazionale. Una cifra minuscola se paragonata a quella delle colleghe del gentil sesso: le iscritte ai vari ordini provinciali della Penisola sono ben 22 mila.
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Elio Lopresti e Michele Trinchese non rappresentano il genere maschile solo tra le corsie ospedaliere, ma hanno sradicato il concetto di una presenza “tutta al femminile” anche tra i vertici degli Ordini provinciali. Lopresti ci è riuscito da quasi 20 anni: dirige quello di Palermo dal 2000. Michele Trinchese, invece, è stato eletto Presidente a Caserta da poco. Una vera soddisfazione per il giovane ostetrico: «Sono riuscito ad entrare a far parte di un organigramma storicamente composto da sole donne – ha sottolineato Trinchese – addirittura conquistandone la presidenza».
Michele Trinchese, nato ad Avellino nel febbraio del 1985, si è laureato da 9 anni, dopo aver già conseguito una laurea in zootecnia: «Aiutavo mia sorella minore a preparare i test di ammissione alla facoltà di ostetricia – ha spiegato il giovane – ed ho sentito una sorta “di chiamata”». Anche per Elio Lopresti sì è trattato di una vocazione. Una passione che li ha aiutati a non arrendersi mai, neanche nei momenti più difficili.
Per entrambi l’accesso al modo del lavoro, nonostante la differenza anagrafica, è stato un percorso in salita. Michele Trinchese, dopo diversi anni di volontario, ha fatto la valigia per cercare fortuna all’estero: «Sono andato in Inghilterra perché in Italia, a 5 anni dalla laurea – ha spiegato il presidente dell’Ordine di Caserta – non riuscivo a trovare un impiego retribuito. Ho lavorato in Inghilterra per due anni e, nonostante la mia sia stata una scelta obbligata, è proprio grazie a questa che sono riuscito ad ottenere una vera maturazione professionale, attraverso i consigli e la supervisione di un’ostetrica “senior”. Ho potuto lavorare in un ambiente totalmente meritocratico: ogni fine anno venivano assegnati anche dei premi per “il miglior contatto con la paziente”, “il miglior parto naturale” o “la migliore assistenza al parto cesareo”».
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Le difficoltà d’inserimento nel mondo del lavoro di Michele Trinchese non sono solo frutto della crisi economica dei nostri tempi. Anche Elio Lopresti, che all’attività professionale si è affacciato nei primi anni ’90, ha dovuto affrontare molte resistenze: «Lavoro da 25 anni – ha detto Lopresti – ma ho ottenuto un impiego fisso solo negli ultimi 10. Avrei potuto trovare una stabilità lavorativa molto prima, ma solo rinunciando alla mia vocazione di ostetrico. Ho preferito la precarietà all’abbandono di una passione».
Ma è proprio vero che dalle difficoltà s’impara: entrambi gli ostetrici hanno fatto tesoro delle problematiche affrontate, maturando proposte in grado di migliorare le condizioni della categoria professionale. Innanzitutto, modificherebbero qualche aspetto della formazione. «Lavorare all’estero – ha spiegato Trinchese – è stata un’esperienza talmente formativa, che dovrebbe essere estesa a tutti i laureandi». Anche Elio Lopresti sul tema formazione ha le idee molto chiare, soprattutto da quando ha lasciato la sala parto per diventare docente del corso di laurea in Ostetricia all’Università di Palermo. A contatto con gli studenti ha capito che molti sono spaventati «dalle troppe responsabilità affidate a questa categoria professionale. Responsabilità – ha detto – del tutto sproporzionate alla remunerazione economica. Per non parlare della difficoltà di accesso al mondo del lavoro: i posti disponibili sono troppo pochi rispetto alle richieste dei neolaureati».
Tutte difficoltà che s’incontrano a prescindere dal sesso. Nel rapporto con le pazienti, invece, qualche differenza di genere c’è, ma per entrambi è solo “una questione di approccio”. «Dobbiamo superare il primo impatto – ha spiegato Trinchese – Entrando nella stanza in punta di piedi, chiedendo il permesso. Poi, trascorsi i primi minuti, la diffidenza cade. Ho sempre avuto la sensazione di riuscire a far dimenticare che io fossi un maschio, sia alle pazienti che alle mie colleghe». Anche Lopresti, ostetrico con qualche anno in più di esperienza sulle spalle, entrato nel mondo del lavoro quando gli ostetrici erano probabilmente molto meno di 300, non ci sono state particolari diffidenze da superare: «nessuna donna ha mai manifestato un malcontento vedendomi. L’importante – ha aggiunto – è avvicinarsi nel modo giusto, con rispetto, senza invadere l’intimità».
Soddisfazione e contentezza di poter svolgere, ogni giorno, il lavoro che amano: sono queste le emozioni che emergono dalla voce di entrambi quando raccontano del loro passato e del loro presente. Anche parlando del futuro dimostrano entusiasmo, ma più che dei progetti personali preferiscono puntare l’attenzione sulle nuove sfide che dovranno affrontare tutti i professionisti della categoria, maschi o femmine che siano.
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«Ognuno di noi – hanno sottolineato Lopresti e Trinchese – deve impegnarsi per ottenere un ruolo importante anche al di fuori della sala parto. Le ostetriche e gli ostetrici dovranno lavorare al fianco dei medici di medicina generale, dovranno essere presenti in ogni ambulatorio, seguendo quella strada già inaugurata dall’ostetrico di famiglia e di comunità. Un professionista che si forma per la donna e che pertanto – hanno concluso – è in grado di assisterla in ogni fase della sua vita».