L’ex titolare del dicastero di Lungotevere Ripa, oggi Presidente della FAVO, chiede a Giulia Grillo interventi sulle reti oncologiche: «Bisogna attivarle in tutte le Regioni per garantire a tutti cure adeguate»
«Al nuovo Ministro della Salute chiederei di creare reti oncologiche in tutte le Regioni perché solo così si può garantire al malato il diritto ad essere curato nel modo migliore». Francesco De Lorenzo, ex Ministro della Sanità dal 1989 al 1993, è oggi un esperto di cure oncologiche essendo da anni Presidente della FAVO, Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia, una rete di organizzazioni che aiutano i malati di cancro. Lo incontriamo al Congresso dell’Anaao-Assomed dove ha partecipato al dibattito con altri ex Ministri della Sanità, da Rosy Bindi a Mariapia Garavaglia, da Beatrice Lorenzin a Renato Balduzzi. Al nuovo Ministro Grillo consiglia di potenziare le reti oncologiche e di intervenire sul problema delle diseguaglianze in sanità tra le Regioni. «Se non si agisce – spiega De Lorenzo a Sanità Informazione – rispetto a una regionalizzazione così spinta come in Italia c’è il rischio che il cittadino che vive in una Regione abbia un trattamento totalmente diverso da quello che vive in un’altra Regione e allora non viviamo più in un Paese unico. Altro che universalismo. Corriamo il rischio di andare ad una forma di disparità e diseguaglianza che penalizza sempre di più i malati».
Si è insediato da poco il nuovo Ministro della Salute. Lei da ex titolare della Salute che consigli darebbe al nuovo Ministro?
«Io posso dare consigli che si basano su conoscenze dirette per quanto riguarda l’oncologia. Ritengo che un aspetto importante che il Ministro dovrebbe prendere in considerazione è quello di battersi affinché in tutte le Regioni si attuino le reti oncologiche regionali perché solo attraverso la presa in carico complessiva del malato di cancro si può garantire anche attraverso l’accompagnamento del malato nelle varie fasi quelli che sono i migliori trattamenti possibili e anche tener conto che attraverso le reti si garantisce al malato il diritto ad avere i farmaci nel posto giusto, nel momento giusto così come attraverso le reti oncologiche si garantisce al malato di poter accedere a quelle strutture di chirurgia oncologica che hanno un maggior numero di casi trattati e quindi che hanno risultati migliori. Bisogna chiudere una serie di ospedali, soprattutto in quelle parti che riguardano patologie neoplastiche complesse come il pancreas, il fegato: abbiamo il 20% delle strutture in tutta Italia che operano meno di cinque casi per anno. Evidentemente in questi ospedali i malati vanno ma il risultato è di gran lunga inferiore a quello che potrebbero avere altrove. Quindi per i malati di cancro questo è un aspetto di fondamentale importanza: io spero che il Ministro guardi con particolare attenzione alla diffusione del bell’esempio che c’è in Piemonte e anche in Toscana e Emilia Romagna nelle altre Regioni del sud».
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La diseguaglianza nella sanità tra diverse Regioni e tra nord e sud del Paese è ormai un dato di fatto. Lei che ne pensa?
«Io credo il Titolo V abbia veramente creato 20 diversi sistemi sanitari regionali. Facevo l’esempio dell’AIFA, una agenzia nazionale. Ha per legge anche la rappresentanza delle Regioni, sono ben 5 gli assessori regionali all’interno dell’AIFA. Non è sopportabile che a fronte delle decisioni che l’AIFA assume per il rimborso dei farmaci poi ci siano le Regioni che valutino ancora una seconda volta se quel farmaco debba o meno andare nel prontuario regionale. Questo comporta ritardi che sono in contrasto con il diritto ad avere un trattamento terapeutico immediato. In Calabria, dove le commissioni per la revisione del prontuario si riuniscono una o due volte all’anno, i malati aspettano un anno per avere dei nuovi farmaci. Tutto questo è un aspetto che va sanato. Se l’Agenzia nazionale approva dei farmaci, questi vanno approvati immediatamente e somministrati ai malati ovunque essi risiedano: non è possibile che ci sia la fortuna di vivere in una Regione dove si è più o meglio curati rispetto ad altri che vivono in altre Regioni. Il diritto ad una uguale assistenza è un fatto fondamentale, per questo bisogna intervenire con i poteri sostitutivi. Io non sono contro le Regioni, ma se c’è una Regione nella quale i LEA non vengono applicati correttamente e non c’è l’assistenza domiciliare o le cure palliative, beh lì perché devono soffrire famiglie e malati? Deve intervenire lo Stato per dire: i soldi ce l’hai, devi fare necessariamente questo tipo di trattamento. Se non si fa questo rispetto a una regionalizzazione così spinta come in Italia (solo la Spagna è come l’Italia in tutta Europa) c’è il rischio che il cittadino che vive in una Regione abbia un trattamento totalmente diverso e allora così non viviamo più in un Paese unico. Altro che universalismo. Corriamo il rischio di andare ad una forma di disparità e diseguaglianze che penalizzano sempre di più i malati».