«In Italia, quasi 30 mila persone hanno l’Hiv e non lo sanno. Le cure di ultima generazione migliorano la qualità della vita del paziente e bloccano la trasmissione del virus». L’intervista a Massimo Oldrini, Presidente Lega Italiana contro l’Aids
«In Italia, le persone con Hiv, stando alle stime ufficiali dell’Istituto Superiore di Sanità, sarebbero circa 150 mila. Attualmente, sono 120 mila i pazienti in cura negli ospedali italiani». A fotografare la realtà italiana è Massimo Oldrini, Presidente Lila, la Lega italiana per la lotta contro l’Aids. Un’immagine che, secondo il presidente Oldrini, sarebbe in grado di ritrarre solo una parte dell’effettiva situazione: «Questi numeri – ha sottolineato – sottostimano la condizione del nostro Paese. Ipotizziamo che ci siano dalle 15 mila alle 30 mila persone inconsapevoli di aver contratto l’Hiv».
Giovani, maschi, eterosessuali, cittadini del centro e nord Italia: è questo l’identikit-tipo del soggetto affetto da Hiv. «È un’infezione prevalentemente maschile – ha detto Oldrini – diffusa per più del 50% del totale tra gli eterosessuali. Nord e centro Italia sono le zone dove si registra la maggiore incidenza della patologia. Il numero più elevato di diagnosi è in Lombardia».
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A rendere ancor più preoccupante la situazione italiana è il numero di nuovi casi: «ogni anno – ha spiegato il presidente Lila – se ne contano circa 4 mila, di cui il 35% è già in Aids conclamato. Questo significa che un numero elevato di pazienti scopre la propria malattia a distanza di moltissimi anni dal contagio».
Numeri che piazzano il Belpaese piuttosto male nella classifica europea: «L’Italia ha una situazione epidemiologica peggiore della Germania e dell’Inghilterra, ma piuttosto simile alla Spagna. Tra i Paesi dell’Unione è al secondo posto per diagnosi di Aids e al tredicesimo per quelle di Hiv ».
Ad incidere sull’elevato numero di diagnosi tardive c’è anche il divieto per i minori di sottoporsi al un test senza il consenso dei genitori. «È uno dei principali nodi da sciogliere – ha continuato Oldrini – i giovani sotto tra i 25 e i 29 anni risultano i più colpiti dall’infezione che hanno contratto, con molta probabilità, quando erano ancora minorenni. Per questo la nostra richiesta è di permettere ai ragazzi dai 16 anni i su, che anche da un punto di vista legale vengono definiti grandi minori, di poter effettuare il test per l’Hiv senza il consenso di genitori o tutori».
Per Oldrini non manca solo un adeguamento legislativo, ma anche culturale e formativo: «L’Italia e la Slovenia – ha aggiunto – sono gli unici Paesi dell’Unione Europea che non prevedono l’educazione sessuale e affettiva nei propri curricula scolastici».
Eppure, oggi, diagnosticare l’Hiv richiede soltanto pochi minuti. Può essere fatto ovunque, anche fuori dalle mura di ospedali e ambulatori. «Abbiamo a disposizione test rapidi e non invasivi, da eseguire su sangue o saliva, capaci di dare un responso in un lasso di tempo che va da uno a venti minuti. Test che in molti paesi europei vengono effettuati, in modo gratuito e anonimo, fuori dagli ambiti sanitari. E chiunque dovesse scoprire di avere l’Hiv può contare sull’assistenza di un’attiva rete territoriale. Un modello che in Italia è diventato realtà in un’unica regione, l’Emilia Romagna, dove l’amministrazione locale ha provveduto ad attivare autonomamente un servizio di questo tipo».
Diagnosticare l’Hiv non solo permette di migliorare la vita di chi ne è affetto, ma anche di bloccare il contagio tra la popolazione. «I trattamenti – ha commentato il presidente Lila – hanno avuto un’evoluzione impressionante: si è partiti nel ’96 con farmaci molti complessi, carichi di effetti collaterali, che richiedevano l’assunzione anche di venti compresse più volte al giorno. Oggi, i nuovi farmaci hanno un minore impatto sulla salute delle persone e sui loro organi. Sono meno tossici e possono essere assunti in un numero minore di dosi: da una a tre compresse in contemporanea»
Ma le buone notizie non finiscono qui: gli scenari futuri sono ancora più confortanti di quelli attuali. «Grazie a delle iniezioni da fare una sola volta al mese, la qualità della vita delle persone con Hiv migliorerà ulteriormente – ha spiegato Oldrini – Anche la situazione epidemiologica subirà una decisiva svolta: chi assume farmaci antiretrovirali, infatti, non può trasmettere il virus a nessuno».
E mentre la scienza ha compiuto passi da gigante, la collettività è rimasta indietro, e non di poco. L’esclusione sociale e lo stigma persistono: «proprio di recente – ha raccontato Massimo Oldrini – la Lila è stata allertata perché un bando pubblico di un’Asl per l’assunzione di un farmacista ospedaliero escludeva dalla selezione, in modo esplicito, chiunque fosse affetto da Hiv. In Inghilterra nemmeno un chirurgo con Hiv è allontanato dalla sua professione, poiché seguendo le terapie, qualora si tagliasse in sala operatoria, il suo sangue non potrebbe trasmettere il virus né ai pazienti, né ai colleghi. In Italia, invece, è prevista l’esclusione da molti impieghi, come dall’esercito, o da altri ruoli della pubblica sicurezza».
Che lo stigma sia fortemente presente lo dimostrano anche diverse ricerche: «Tra le più recenti – ha commentato il presidente Lila – un sondaggio condotto nel 2016, secondo il quale più del 50% delle persone preferirebbe non avere nemmeno un vicino di casa con l’Hiv e il 60% non sarebbe tranquillo se l’insegnate dei propri figli avesse l’Hiv. Una situazione – ha concluso Oldrini – che difficilmente potrà essere modificata senza una diffusione capillare, su tutto il territorio nazionale, di adeguate campagne di comunicazione».