Tra i promotori dell’iniziativa anche l’oncologo Paolo Marchetti. Il 65% dei pazienti che si sottopongono a prima visita medico oncologica hanno già perso peso. Il Presidente Sinuc: «Il 20% dei malati oncologici muore per il deterioramento nutrizionale»
Per i malati oncologici una corretta alimentazione è fondamentale ma troppo spesso questo aspetto viene trascurato. Per questo è stata lanciata una ‘call to action‘ indirizzata a medici e politici in occasione del convegno “Malnutrizione in oncologia” che si è svolto alla sala Nilde Iotti alla Camera dei Deputati. Tra i promotori Paolo Marchetti, Ordinario di Oncologia Medica alla Sapienza di Roma, e Maurizio Muscaritoli, Presidente Sinuc (Società Italiana di Nutrizione Clinica e Metabolismo). «Prevenire la progressione della perdita di peso riduce la tossicità dei farmaci, migliora la sensibilità delle cellule a ricevere i trattamenti, diminuisce la frequenza e la durata dei ricoveri e le complicanze post operatorie», spiega il professor Marchetti.
Tra i dati su cui è necessario avviare una riflessione quello riguardante la prima visita dei malati oncologici: sei pazienti su dieci hanno già perso peso (il 64%), da uno a dieci chili nei sei mesi precedenti e cinque su dieci, il 51%, presentano un deficit nutrizionale. Un malato di tumore su 5 muore per cachessia (deperimento) non per la neoplasia stessa. L’obiettivo è che le cure nutrizionali entrino a far parte della buona pratica clinica, anche con l’eventuale previsione di sanzioni per chi non garantisce ai malati cure adeguate. Tra i promotori dell’evento anche Claudia Santangelo, presidente dell’Associazione Vivere senza Stomaco.
«Lo stato nutrizionale del paziente oncologico ancora non viene valutato in maniera adeguata», spiega a Sanità Informazione il Professor Muscaritoli che aggiunge: «I dati dicono che la perdita di peso involontaria e la perdita di muscolo nel malato oncologico sono associati ad una aumentata mortalità. I dati dicono che il venti per cento dei malati oncologici muore per le conseguenze del deterioramento nutrizionale e io ritengo che su questi dobbiamo ragionare».
Professor Muscaritoli, nel convegno “Malnutrizione in oncologia” ha fornito dati molto interessanti: ha fatto vedere che per i pazienti oncologici malnutriti l’aspettativa di vita diminuisce, che il 65% dei pazienti arriva malnutrito alla prima visita oncologica. Cosa si può fare concretamente per affrontare questo problema?
«Per affrontare questa serie di problemi si può fare molto, la cosa principale è aumentare la consapevolezza che questi problemi esistono. Noi veniamo da una cultura oncologica che è molto basata sull’aggressione al tumore. Per molti anni la cosa principale è stata sparare alla malattia e qualche volta ci si è dimenticati del paziente. Nel corso degli anni poi le terapie di supporto si sono evolute, oggi sappiamo che un malato non può essere sottoposto a determinati trattamenti se per esempio ha una insufficienza cardiaca e deve magari potenzialmente ricevere dei farmaci cardiotossici. Non può essere sottoposto alle terapie perché ha i globuli bianchi troppo bassi. Ci sono tutta una serie di parametri che oggi vengono controllati per garantire che la terapia oncologica venga ben tollerata dal malato. Però quando si tratta di valutare lo stato nutrizionale questo ancora non succede in maniera adeguata e lo studio premio Prevalence and malnutrition in oncology è proprio stato fatto per questo. Ha dimostrato che anche i malati oncologici che per la prima volta si rivolgono all’oncologo, prima ancora di iniziare i trattamenti di radio e chemioterapia, sono malnutriti o a rischio malnutrizione in una buona percentuale dei casi: pazienti con malattia metastatica in circa il 60% dei casi sono o a rischio malnutrizione o malnutriti, e il 65% dei pazienti che si sottopongono a prima visita medico oncologica hanno già perso peso, una quantità variabile di peso da tumore a tumore, da paziente a paziente. Questo è già un dato rilevante perché sappiamo che la perdita di peso e la riduzione della massa corporea sono associate ad un maggiore rischio di mortalità e comunque ad una minore tolleranza ai trattamenti specifici».
Lei ha parlato di alcune credenze secondo cui fare la dieta, stare a digiuno, o magari fare una dieta vegana, secondo alcune teorie può aiutare il paziente oncologico. Cosa dice la scienza a proposito?
«Questo è un aspetto molto interessante della medicina moderna e dello studio delle interazioni tra alimentazione e risposta metabolica dell’organismo. Se noi vogliamo andare indietro e pensare alla storia delle religioni noi il digiuno lo troviamo in tutte le religioni e questo deve avere un significato specifico. Il digiuno come purificazione non soltanto morale, dell’anima, ma anche del corpo. È una cosa troppo antica e troppo consolidata per essere basata solo su una credenza. In effetti il digiuno e il mangiare di meno attiva dei meccanismi che sono di vera e propria purificazione del corpo, della cellula stessa e questo meccanismo si chiamano ‘autofagia’, cioè la cellula elimina dal suo interno alcune parti che sono usurate, che sono sbagliate, che sono pericolose, che potrebbero innescare una serie di reazioni pericolose per la sopravvivenza della cellula e quindi dell’organo e dell’organismo. Mangiare di meno è da sempre associato ad un concetto di salute. È il mangiare troppo poco che è associato ad un concetto di malattia, è il mangiare troppo che è associato a un concetto di malattia. E quando è troppo poco e quando è troppo oggi lo sappiamo con certezza. Molti propongono le diete del digiuno per ridurre la massa tumorale. Su questo non c’è nessuna evidenza scientifica. Purtroppo il tumore si localizza nel nostro corpo e utilizza le nostre stesse risorse nutrizionali. Utilizza il glucosio forse meglio di quanto non facciano le nostre cellule ma comunque riceve sangue dal nostro organismo che porta nutrienti e su questo non ci possiamo far nulla, ecco perché esistono le chemioterapie e le radioterapie. Però esistono dei dati sperimentali che indicherebbero che la riduzione degli apporti nutrizionali in un determinato periodo di tempo ridurrebbe la sensibilità delle cellule normali alla chemioterapia e aumenterebbe la sensibilità delle cellule tumorali alla chemioterapia. Su queste osservazioni è nato il concetto delle diete mima-digiuno che sono probabilmente un orizzonte da tenere in considerazione per il futuro quando noi avremo a disposizione delle evidenze che ci diranno che effettivamente ridurre gli apporti nutrizionali nei malati oncologici che fanno le terapie è associato ad un miglioramento dell’efficacia della terapia stessa. Ad oggi io non credo che questi dati siano ancora disponibili, forse lo saranno nei prossimi anni. Ora noi abbiamo dei dati che indicano che la malnutrizione per difetto, cioè la perdita di peso involontaria, la perdita di muscolo nel malato oncologico sono associati ad una aumentata mortalità e ad una riduzione della tolleranza ai trattamenti. I dati che abbiamo ci dicono che il venti per cento dei malati oncologici muore per le conseguenze del deterioramento nutrizionale e io ritengo che su questi dobbiamo ragionare. Quindi se è vero che forse alcuni pazienti si potranno giovare in alcune fasi della terapia di una manipolazione degli apporti nutrizionali magari in senso restrittivo oggi non possiamo fra finta di non vedere che la maggior parte dei nostri malati oncologici è sottopeso, perde peso in maniera involontaria, perde l’appetito e non riesce a coprire i fabbisogni nutrizionali che sono quelli che invece il paziente continua ad avere anche se si è ammalato di tumore, anzi a maggior ragione».