«Non c’è terapia che possa essere efficace senza piena condivisione tra medico e paziente» così il Responsabile Sanità del Partito Democratico e relatore alla Camera del provvedimento sul consenso informato
A pochi mesi dall’emanazione della legge sul fine vita, i Comuni italiani si stanno allineando per istituire dei registri dove sia possibile depositare regolarmente le proprie volontà rispetto a trattamenti terapeutici. Dunque la legge dalla carta sta diventando operativa: su questo tema Sanità Informazione ha fatto il punto con Federico Gelli, ex deputato, responsabile sanità del Partito democratico e relatore alla Camera del provvedimento sul Biotestamento.
A 7 mesi dalla Legge sul Biotestamento come è cambiato il ruolo del professionista sanitario?
«Direi che sia la legge 24/2017 legge Gelli che la legge 219/2017 sul Biotestamento sono diventate cardine entrambe dell’attività del professionista sanitario, per così dire le due facce della stessa medaglia fondamentale nel rapporto medico-paziente. La legge sulla responsabilità professionale va a disciplinare un nuovo rinnovato criterio di valutazione dei rischi consentendo al medico di lavorare più in serenità; l’altra finalmente disciplina il consenso informato che nel nostro Paese era stato finora considerato un mero adempimento burocratico, uno schema da compilare. Questi due assetti portanti di riforma sono convinto che aiuteranno moltissimo nel recupero di quell’alleanza terapeutica tra medico e paziente di cui abbiamo bisogno, non c’è terapia che possa diventare efficace se non c’è una piena condivisione».
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Alleanza terapeutica: c’è anche chi pensa tra gli addetti ai lavori che questa legge possa portare una ulteriore burocratizzazione del rapporto medico-paziente, a chi la pensa così lei cosa risponde?
«Trovo che questa visione della legge sia curiosa, ma d’altronde questo è un Paese stravagante. Fino ad oggi si criticava il Parlamento perché non aveva mai disciplinato in norma la definizione del consenso informato, le varie modalità di sottoscrizione, il ruolo e l’importanza di questo atto – voglio ricordare che uno dei punti salienti della norma è il colloquio tra medico e paziente – ora si critica la politica perché ha messo in atto quello che si discuteva da anni. Le leggi servono per sancire dei percorsi, vanno ovviamente interpretate e applicate ma sicuramente si tratta di un salto di qualità, di un passo in avanti di un Paese che su certi temi era rimasto indietro. Quindi a chi è scettico su questa legge rispondo che i soliti atteggiamenti critici devono poi misurarsi sulle scelte quotidiane e rimango convinto che questa norma è un fatto molto positivo, non solo per i professionisti ma anche per i pazienti».
Una delle zone d’ombra, a detta sempre di alcuni professionisti sanitari, è l’obiezione di coscienza: pensa si debba regolarizzare e quindi chiarire ulteriormente questo aspetto che riguarda prettamente il medico?
«Questo è stato un punto molto dibattuto in aula. Si tratta di un argomento che forse può essere anche disciplinato, ma dalle proposte emerse nel dibattito parlamentare, credo che la questione sarebbe peggiorata e non migliorata. Ritengo che sia un argomento su cui eventualmente il Parlamento si può esprimere in futuro. Il tema del consenso informato e dell’obiezione di coscienza sono argomenti ancora da discutere, il nostro è un Paese che ha una sensibilità su questi temi molto spiccata. Credo che l’obiezione di coscienza sia inutile perché all’interno del Sistema Sanitario comunque deve essere garantita la possibilità da parte di un professionista di poter raccogliere delle dichiarazioni o delle disposizioni da parte dei cittadini, è un diritto previsto da una norma, da una legge nazionale; impedire tutto questo, sarebbe a mio avviso inutile. Comunque io non sono contrario vediamo quello che sarà in grado di fare questo Parlamento che mi sembra per ora affaccendato in altre dinamiche e non al tema dei diritti, ma potrei essere smentito nei prossimi mesi».
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