di Guido Quici, Presidente CIMO
Un’analisi condotta dal sindacato CIMO ha evidenziato gli effetti delle misure adottate per ridurre i costi della sanità tra il 2010 e il 2016 sul personale sanitario:
«I risparmi delle Regioni sul personale sanitario sono stati di oltre 2,6 miliardi, cifra alla quale ogni medico ha contribuito con una perdita media di 260 euro al mese nella propria busta paga». È quanto emerge da una analisi condotta dal sindacato dei medici Cimo sugli effetti delle misure adottate per ridurre i costi della sanità tra il 2010 e il 2016 su dati estrapolati dal Conto annuale del ministero dell’Economia e delle finanze.
«Il calo dei dipendenti, il blocco del turnover, la riduzione degli incarichi nelle strutture e i relativi tagli, uniti alla mancanza del rinnovo contrattuale, hanno rappresentato una vera e propria fonte di risorse aggiuntive per le Regioni – avverte il report elaborato da Cimo – che, in questi anni di crisi economica, hanno visto incrementare la ripartizione del Fsn da 105,6 mld (2010) a 111 mld (2016) e contestualmente risparmiare i suddetti 2,673 miliardi per effetto della riduzione di 40.184 dipendenti del Ssn e delle riorganizzazioni delle strutture sanitarie. In particolare, il numero di medici si è ridotto di 6.724 unità, con risparmi di oltre 845 milioni di euro e, nell’ambito della riorganizzazione delle aziende, il numero di unità complesse è calato del 24,98% e quello di strutture semplici del 27,34%. Tutto ciò ha avuto un impatto sui salari, con una riduzione media pro capite per medico del trattamento accessorio da 25.806 euro (2010) a 22.404 euro (2016), con perdita media mensile di 261,69 euro in tutto il periodo analizzato.
«In altre parole – commenta Guido Quici, presidente nazionale Cimo – i risparmi derivanti dal costo del personale sono stati funzionalmente destinati a tamponare altre esigenze di spesa corrente come, ad esempio, i beni e i servizi, ma ben presto queste risorse sono state considerate come strutturali per compensare altri capitoli di bilancio delle Regioni e delle aziende sanitarie: questo è il motivo per il quale la partita del rinnovo del contratto dei medici stenta a decollare. Siamo coscienti che le risorse economiche sono quelle che il Fondo sanitario nazionale consente di mettere a disposizione per questo contratto, risorse che sono state certificate dal Ministero dell’Economia, ma in questi anni abbiamo assistito a uno spostamento delle percentuali di ripartizione tra i vari capitoli di spese che hanno penalizzato principalmente le voci che riguardano il costo del personale, cambiamento che doveva essere transitorio e che ora sta alle amministrazioni riequilibrare. Dunque, discutiamo prima di risorse esigibili e, successivamente, apriamo un tavolo politico senza ulteriori indugi. È del tutto ovvio che CIMO non può chiedere ancora ai medici di continuare a sacrificarsi oltre l’emergenza; piuttosto, non vuole trovarsi costretta a spiegare loro che, dopo nove anni, rischiano di non aver riconosciuto lo stesso adeguamento percentuale degli altri comparti, non ultimo quello della dirigenza delle Funzioni Centrali dello Stato”, conclude Quici. CIMO ribadisce che il contratto di cui si sta discutendo dovrà essere dignitoso non solo sul versante economico rispettando il 3,48% di adeguamento richiesto ma soprattutto su quello normativo, a partire dai capitoli che riguardano la responsabilità professionale e le assicurazioni, anche in considerazioni di quanto sta accadendo in alcune aziende a seguito della applicazione della Legge Gelli, ritenuta da alcuni peggiorativa rispetto alla Legge Balduzzi.