«Abbiamo dovuto mettere le barriere al Pronto soccorso del Pertini ma l’interfono ostacola il rapporto tra paziente e operatore sanitario. E, nel nostro lavoro, la comunicazione è fondamentale», così il Direttore dell’Asl Rm2 sul tema della violenza contro i camici bianchi
Il fenomeno delle aggressioni ed intimidazioni verbali e fisiche ai danni degli operatori sanitari non sembra avere fine, anzi è ancora in allarmante crescita. Per contrastare gli episodi di violenza e cercare di arginare quella che è diventata una vera e propria emergenza, il ministro della Salute Giulia Grillo ha chiesto al Governo di potenziare la presenza delle forze dell’ordine in alcune strutture sanitarie considerate più “a rischio”. Come quelle dislocate all’interno del bacino dell’Azienda Asl Roma 2 che si colloca nella zona sud e sud-est del Comune di Roma e articola in sei distretti sanitari territoriali e due presidi ospedalieri: l’ospedale Sandro Pertini ed il S. Eugenio unificato con la struttura del CTO “Andrea Alesini.
Un territorio difficile ed estremamente popoloso, dove si sono registrati non pochi episodi di aggressioni contro i professionisti sanitari. Il direttore generale della Asl Roma 2, la dottoressa Flori Degrassi, ha denunciato ai nostri microfoni una situazione complicata ed individuato le strategie per fermare l’escalation di attacchi e violenze.
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Dottoressa, lei ha parlato di operatori sanitari in trincea: ci vuole raccontare cosa sta succedendo nella sua Asl e nel suo territorio?
«Sì, recentemente ci sono stati dei casi di rapina ed aggressioni al personale sanitario anche con delle pistole che riproducevano quelle normali a cui avevano tolto il tappino rosso di riconoscimento. È naturale che, di fronte ad una pistola, vera o finta che sia, gli operatori sanitari hanno avuto terrore. Stiamo parlando di un fenomeno recidivante. Specialmente nella zona di San Basilio gli operatori sono terrorizzati. È chiaro che noi siamo impotenti, lavoriamo in un territorio veramente difficile, ci sono problemi sia nei Pronto soccorso che su cento presidi territoriali. Anche la forza pubblica, in questo momento, ci può dare un supporto relativo, c’è carenza di personale anche per loro. Per questo, noi chiederemo un posto di polizia attivo di notte almeno nei Pronto soccorso dove c’è un servizio H24, in cui il problema è più sentito e gli attacchi avvengono specialmente la notte. E per quanto riguarda i presidi territoriali è necessario un protocollo con le forze dell’ordine perché i nostri operatori si sentono in trincea e perdono la motivazione a continuare a fare il proprio lavoro».
Lei ha parlato anche di vetri antiproiettile: ecco, quanto è difficile psicologicamente lavorare così?
«Abbiamo dovuto mettere le barriere specialmente nei Pronto soccorso, nello specifico all’ospedale Sandro Pertini, perché gli episodi di aggressioni erano recidivanti. La barriera ostacola il rapporto tra il paziente e l’operatore sanitario: l’interfono, infatti, non permette a quest’ultimo di prendere in carico il paziente a 360 gradi ed è difficile, per chi sta male, affidarsi completamente vedendo una “barriera” che divide dall’interlocutore. A volte aumenta perfino l’aggressività delle persone. Il problema è che non abbiamo una soluzione facile, cerchiamo tutti di dare delle risposte che per tutelare la sicurezza dell’operatore ma che al tempo stesso lo rendano vicino al paziente. È una mediazione complicata, ma nel nostro lavoro la comunicazione con il paziente è fondamentale per la sua corretta gestione e presa in carico».