Dopo la proposta FNOMCeO, il segretario della Federazione declina la possibile evoluzione: «Un anno di ‘master’ in collaborazione con l’università propedeutico al bando, alla medicina d’emergenza e a quella penitenziaria in cui c’è grave carenza organica»
Segretario, la FNOMCeO propone di ‘ristrutturare’ la formazione di Medicina generale per rispondere alla carenza di professionisti sul territorio: ridurre di un’annualità il corso di medicina generale. Lei cosa ne pensa?
«Io credo che questa proposta sia stata male interpretata. La FNOMCeO infatti sta valutando, a costanza di norme, come fare ad ottenere più risorse per garantire più borse di studio. In questo momento nella legge 368 esiste un’unica norma che permette in sede di bando alle Regioni di riconoscere la riduzione fino ad un anno del corso MMG, quindi il corso durerebbe due anni nella fase attiva, ma prima viene garantito un corso – riconosciuto in strutture individuate dal Ministero – che prepara alla Medicina generale. Di fatto il percorso formativo rimane di tre anni, solo che il primo anno sostanzialmente sarebbe tipo master con un accesso anche più numeroso rispetto a quelli che sono i posti nel bando. Questa soluzione viene proposta per fare in modo che una platea più ampia di giovani possa crearsi questo benefit e anche nel momento in cui non accedesse al bando può in ogni caso crearsi una professionalità, per esempio facendo la guardia medica o altre eventuali attività. Se si ottenesse che tutti quelli che entrano nel corso MMG hanno fatto questo pre-corso di un anno – ovviamente omogeneo per formazione a quelle che sono le necessità formative – sono certo che si potrebbe ragionare in termini di utilità e convenienza per tutti. Noi abbiamo una forte carenza di medici con idoneità all’emergenza, questo corso di un anno potrebbe preparare in questi termini, allo stesso modo sarebbe prevista una formazione in medicina penitenziaria, che sembra la Cenerentola del Sistema, ma presto necessiterà di tante risorse a causa dei pensionamenti di buona parte dello staff. Dunque avremmo un anno iniziale – senza borsa di studio e senza particolari incompatibilità con una platea ampia – che prepara al biennio di formazione in MMG ma anche ad altri sbocchi lavorativi. A noi questa proposta sembra assolutamente ragionevole e coerente con l’Europa – dove i percorsi formativi dei medici li portano sul mercato del lavoro molto più giovani dei nostri italiani – ma è chiaro che tutto questo può infastidire qualcuno… dunque ci facciano sapere quali sono le proposte alternative sul tavolo perché sinceramente siamo stanchi di essere giudicati e non poter giudicare».
Quest’estate è stata per FIMMG di lavoro intenso: avete lavorato sui bandi e finalmente è stata accolta la vostra richiesta di riaprire i termini, siamo in attesa della nuova data del bando. Siete soddisfatti?
«C’è soddisfazione per aver evitato un ‘macello’. Formalmente ci siamo resi conto e abbiamo atteso il minimo, una settimana, in cui la Conferenza aveva approvato – rimandando alla successiva Conferenza delle Regioni – il riparto delle borse rispetto all’aumento delle stesse per l’utilizzo di fondi di piano (i famosi 40 milioni), questo a fine luglio. Io ho atteso una settimana per capire come e con quali atti sarebbe stato possibile questo aumento, perché era già abbastanza chiaro che nelle 58 borse per la specializzazione a concorso già determinato, diventava difficile ridefinire il tutto nell’arco dell’anno in corso. Però sembrava che tutti si fossero dimenticati che questi fondi di piano sono triennali e che vanno attivati nell’arco del 2018. Dall’altra parte le possibili soluzioni erano le seguenti: da una parte la possibilità che si scorresse in graduatoria (che era la valutazione che hanno fatto le Regioni secondo me semplicistica). Dall’altra la possibilità che si riaprisse il bando, ma questo comportava una serie di atti amministrativi complessi e con tempi rapidi. L’altra possibilità era di spezzare queste borse dal bando attuale e formalizzare un bando successivo che però sarebbe andato tra fine anno e anno prossimo creando due annualità quasi contemporanee. Ho portato il problema all’attenzione degli assessori e del Ministro e devo dire che la risposta è stata immediata. Dunque il 10 agosto è stata definita una nota che il Ministro ha indirizzato alle Regioni chiedendo di provvedere in merito. A questo punto FIMMG pensava di aver concluso il suo lavoro ma, trattandosi di agosto, non si è capito cosa stava succedendo. Io mi sono allarmato quando ho visto che molte Regioni pubblicavano gli ammessi e quindi ho capito che c’era qualcosa che non andava. Così mi sono riattivato, ci sono stati i giusti confronti ed è apparso chiaro a tutti che i fondi di piano possono essere utilizzati solo dalle Regioni a statuto ordinario. Tranne la Sicilia che potrà utilizzarli solo per una piccola parte di territorio. Cioè le Regioni a statuto speciale non avranno incremento di borse. Ora la domanda è: a fronte di un concorso unico, in cui io ho fatto una domanda in una Regione a statuto speciale, mi rendo conto che la Regione è vicina per scorrimento e aumenta le borse, io non ho avuto la possibilità di rivalutare quella mia scelta facendo domanda in quella Regione… il contenzioso era inevitabile. La vicenda poteva assumere delle proporzioni enormi trattandosi di circa 13mila candidati, proporzioni che potevano addirittura portare all’annullamento del concorso. Ci siamo seduti intorno ad un tavolo e abbiamo trovato una soluzione: le Regioni e il Ministro stanno operando per gli atti amministrativi conseguenti, cioè il primo atto un avviso in Gazzetta Ufficiale dopo la comunicazione di aver preso atto della necessità di annullamento della data del concorso. Successivamente le Regioni pubblicheranno il bando di riapertura con le nuove indicazioni. È chiaro che, mi permetto di dire grazie a FIMMG, i giovani colleghi non si devono preoccupare perché nell’ultimo contratto è stato deciso che, anche se loro iniziassero il concorso in ritardo rispetto all’annualità, avrebbero diritto a presentare domanda entro il 31 gennaio dell’anno in cui avrebbero dovuto completare e gli sarà comunque riconosciuto il titolo perché conseguito entro settembre dello stesso anno e prima della pubblicazione».
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Un altro tema che ha tenuto banco quest’estate è stata la questione vaccini: diversi provvedimenti di diverso regime si sono intervallati, lei in Commissione ha chiesto che i medici di Medicina generale fossero più coinvolti nell’obbligo, corretto?
«Su questo tema ritengo che siano state fatte delle analisi scarse e che sia stato troppo amplificato il confronto politico che ha messo in discussione il rapporto medico-paziente. È vero che le vaccinazioni hanno un contenuto di sanità pubblica e quindi occorre siano anche oggetto di discussioni politiche, ma non esiste solo questo. Ora, si tratta di sedersi intorno ad un tavolo e capire perché formalmente non c’è un atteggiamento positivo da parte dei cittadini. È anche vero che c’è qualcuno che si pone il problema che presto agli italiani non verrà concesso di viaggiare se non garantendo l’avvenuta profilassi, ecco lavoriamo su questo. Dall’altra parte ritengo fondamentale, se non centrale, coinvolgere il medico che ha il miglior rapporto fiduciario con il paziente, il modo tale da far passare il messaggio positivo rispetto alla vaccinazione con tutto il rispetto per la governance dei centri vaccinali e con le varie progettualità. Penso sia difficile risolvere questi problemi senza rinvigorire il ruolo dei medici di famiglia che deve diventare determinante».
Lei parlava di un dibattito che ha esacerbato gli aspetti politici e ha rischiato di mettere in discussione il rapporto fiduciario tra medico e paziente, un elemento questo che ha portato anche ad un aumento delle aggressioni…
«Appare paradossale che ancora oggi il medico aggredito debba fare una querela di parte, io questo lo trovo inaccettabile, perché significa lasciare quel medico da solo nei confronti – nel 90% dei casi – di un delinquente. Il medico stando così le cose può aver paura di un successivo confronto quando questo diventa personale e non diventa un confronto d’ufficio in cui lo Stato agisce perché deve farlo a protezione di una figura professionale. Silvestro Scotti è un medico che sta operando per nome e conto dello Stato anche per garanzia della collettività, perché uno che aggredisce mi sottrae alla possibilità di curare la comunità. Su questo stiamo prendendo dei provvedimenti che aumentano le pene, rimango ancora perplesso perché si possono anche aumentare le pene ma se non c’è la denuncia serve a poco. C’è un problema che non riguarda i medici, ma riguarda la difficoltà di doversi confrontare in un sistema in cui non sento lo Stato al mio fianco e quindi sento di essere solo davanti ad un processo. Allora aumentando le pene sembra di aggiungere oltre al danno la beffa perché formalmente quelle pene non le prenderà nessuno se non verrà mai fatta denuncia. Né tanto meno l’aumento delle pene darà più coraggio ai medici che, per paradosso, potrebbe giustificare un’aggressione dando delle attenuanti psicologiche al paziente».