«Dai vicepremier mai una parola per più risorse nella sanità». Così l’ex vicepresidente della Camera che poi torna sul tema dei vaccini: «Con autocertificazione strizzano occhio a movimento no vax»
È stata nominata a luglio da Maurizio Martina responsabile per il Diritto alla Salute della segreteria nazionale del PD. E si è trovata subito a fronteggiare la questione vaccini, su cui tuttora si continua a discutere. Marina Sereni, già vicepresidente della Camera nella scorsa legislatura, può essere definita il ministro ‘ombra’ della salute dei Democratici e ha le idee chiare su cosa fare: in primis difendere l’obbligo vaccinale introdotto dalla legge Lorenzin contrastando l’introduzione dell’autocertificazione contenuta nel Milleproroghe. E poi, per fronteggiare la carenza di medici e risolvere il problema dell’’imbuto’ formativo, appoggiare la proposta delle regioni che vorrebbero poter, per una fase transitoria, far lavorare gli specializzandi nelle aziende ospedaliere. Non rinuncia poi a una stoccata ai due azionisti di maggioranza del governo, Matteo Salvini e Luigi Di Maio: «Non ho mai visto elencare dai vicepremier l’esigenza di mettere mano ad un aumento delle risorse nella sanità».
Onorevole, parliamo di vaccini: per ora l’obbligo rimane anche se resta l’autocertificazione fino a marzo. Come se ne esce da questa situazione che sta diventando sempre più ingarbugliata?
«Se ne dovrebbe uscire facendo chiarezza. Noi dobbiamo dire ai bambini, alle famiglie dei bambini, agli insegnanti che l’obbligo vaccinale c’è, introdotto con legge lo scorso anno. Quest’obbligo vaccinale è stato necessario perché in Italia si è prodotto un abbassamento allarmante del tasso di copertura vaccinale e perché questo mette in pericolo la vita dei bambini più fragili, quelli che non si possono vaccinare, come gli immunodepressi: abbiamo avuto un numero allarmante di morti per morbillo, per pertosse, per meningite. Quindi noi dobbiamo sapere che l’Italia è in una condizione difficile sotto questo profilo. Questo motiva un intervento legislativo che ha introdotto l’obbligo con l’impegno a verificarlo entro tre anni: la ministra Grillo dovrebbe cogliere questa possibilità che la legge Lorenzin lasciava, non impedire che la legge si applichi perché se la legge non si applica tra tre anni noi rischiamo di essere tornati indietro. Invece con la legge Lorenzin possiamo andare avanti e possiamo anche ridiscutere eventualmente della permanenza dell’obbligo».
Però il Ddl che ha presentato la maggioranza è di segno opposto…
«Il Ddl però è un disegno di legge quindi verrà discusso in tempi medi. Quello che a noi preoccupa è questa modifica del Milleproroghe nel quale si reintroduce o si consente ancora una volta l’autocertificazione per chi non ha prodotto il certificato per l’iscrizione a scuola che in realtà sembra essere più una strizzatina d’occhio al movimento no vax che un vero e proprio modo per facilitare le famiglie. Tutti quelli che si potevano mettere in regola si sono già messi in regola lo scorso anno e nella stragrande maggioranza dei casi le Asl sono in condizione di dare immediatamente ad una famiglia che fa vaccinare il proprio figlio il certificato da presentare a scuola. Quindi non è vero che ci sono tutte queste difficoltà burocratiche. Un conto è lasciare un margine di flessibilità per qualche settimana perché ci possono essere dei casi di burocrazia non perfettamente efficiente. Altra cosa invece è fare una proroga fino a marzo, come è nella proposta del governo, che allora sembra essere più che altro dire: con una mano rimane l’obbligo, con l’altra lo potete aggirare. Questa non è una cosa seria perché stiamo parlando di un tema molto delicato che riguarda la salute dei cittadini e dei bambini in particolar modo e quindi non è questo il modo in cui pensiamo che il ministro e il governo si devono muovere».
Avete in programma iniziative in merito?
«Abbiamo già sostenuto la petizione delle mamme di ‘IoVaccino’, abbiamo lanciato una nostra petizione che sta andando molto bene nelle feste dell’Unità, pensiamo che sia necessario accompagnare questa discussione ovviamente con una campagna di informazione, con una discussione aperta con i cittadini con cui impegnare anche la comunità scientifica. Ma è impressionante andare a leggere quello che è stato detto nelle audizioni fatte qui alla Camera: non c’è un soggetto che neghi la necessità di raggiungere una certa soglia di copertura vaccinale per poter considerare la comunità protetta. Quindi penso che bisogna ritornare alla serietà: nessuno di noi si può sostituire a chi ha studiato, ha elaborato, ha costruito su questo con sacrificio una carriera professionale. Penso che bisogna rispettare le competenze, poi la politica fa ovviamente le sue scelte ma a partire da dati di realtà che sono incontrovertibili».
Quali sono le altre priorità nell’ambito della sanità per il PD?
«Io ho ascoltato l’audizione che ha fatto la ministra all’inizio della legislatura. Ci sono dei temi che sono oggettivamente un’emergenza. Ne cito alcuni: primo, la questione del personale e delle specializzazioni. Noi abbiamo in molte parti d’Italia una difficoltà di coprire i posti vacanti, penso ai Pronto soccorso ma non solo, per una sorta di sfasatura tra le ammissioni nei corsi di specializzazione e le esigenze del sistema. Penso che lì bisogna intervenire con grande urgenza anche con delle soluzioni innovative. Le regioni hanno presentato una proposta al governo su cui penso si possa lavorare: quella di poter, per una fase transitoria, far lavorare degli specializzandi e anche di utilizzare le aziende ospedaliere, i luoghi della cura come luoghi di formazione. È un tema importante su cui noi sfidiamo il governo a dare delle risposte concretissime altrimenti ci sono dei buchi nel sistema molto forti. L’altro nodo riguarda le risorse: negli anni passati c’è stata grande polemica, noi non siamo sodisfatti di quanto abbiamo fatto sulle risorse anche se sappiamo che abbiamo aumentato le risorse del fondo sanitario a disposizione delle regioni. Non è quanto avremmo voluto, non è quanto necessiterebbe. La ministra ha detto che farà una battaglia nel suo governo per avere più risorse ma allo stato attuale dell’arte mi pare che le priorità indicate sia dalla Lega che dal M5S siano altre: si parla sempre di flat tax, reddito di cittadinanza, Fornero. Non ho mai visto elencare dai vicepremier l’esigenza di mettere mano ad un aumento delle risorse nella sanità».
C’è chi sostiene che con la flat tax e con il reddito di cittadinanza a rimetterci potrebbe essere la sanità…
«Io penso che sarà esattamente così. Siccome la coperta è comunque corta, il rischio è che si vada a tagliare esattamente su quei servizi che invece sono servizi rivolti alla salute del cittadino. E com’è noto già oggi siamo di fronte a delle diseguaglianze nel campo della tutela della salute: la parte più debole della società in questi anni si è indebolita a causa della crisi e ha avuto anche più difficoltà a curarsi, poi c’è una difficoltà e una differenziazione territoriale. A me sembra del tutto evidente che una volta approdati al governo bisogna mettere un po’ da parte le promesse elettorali e fare come un buon padre o una buona madre di famiglia, cioè fare i conti realisticamente. Un sistema sanitario pubblico, universale come il nostro è un bene da difendere e non a caso è ancora considerato a livello internazionale uno dei migliori. Tuttavia è intaccato dalla crisi, io penso che sarebbe necessario un atteggiamento di maggiore attenzione non solo e non tanto da parte della ministra che sicuramente un po’ difende il suo settore, ma da parte dell’insieme del governo. Per adesso io sospendo il giudizio».
Come sono stati i primi 100 giorni del ministro Grillo?
«Sono priva di pregiudizi. Penso che la difesa del Sistema sanitario pubblico sia un tema che sta a cuore non solo a noi. Non metto davanti un pregiudizio politico. Dico però che se devo leggere le interviste di Di Maio e di Salvini di questi mesi non ho mai trovato una volta la parola ‘salute pubblica’. Quindi mi preoccupo perché so già che la partita delle risorse sarà molto difficile».
A proposito delle Regioni, ho assistito a vari dibattiti in cui si confrontavano due visioni: chi sostiene che il regionalismo in ambito sanitario sia una cosa positiva perché responsabilizza le regioni e chi invece mette in risalto le grandi disparità che ciò ha creato tra i cittadini a livello di salute. Voi come la pensate?
«Come la pensiamo noi c’era un po’ scritto nella riforma costituzionale che, ahimè, il referendum ha bocciato. Io penso che bisogna trovare un punto di equilibrio. Abbiamo detto che ci sono dei livelli essenziali delle prestazioni di assistenza che debbono essere garantiti a ciascun cittadino dovunque abiti. Questo ovviamente può significare che un cittadino si muova, va dalla Calabria al Piemonte o alla Lombardia, ecc. Ma penso che il principio sia un altro: noi dobbiamo avere la garanzia che ovunque uno si ammali può avere una assistenza adeguata. Capisco che le regioni più ricche e più efficienti puntino ad una differenziazione, ad una maggiore autonomia ma questo ha senso se noi siamo nelle condizioni di garantire che comunque il minimo, i Livelli essenziali di assistenza siano garantiti ovunque. Maggiore efficienza anche laddove abbiamo delle difficoltà. Noi abbiamo oggi ancora diverse regioni che sono alle prese con i piani di rientro, che in un modo o nell’altro sono commissariate. C’è stato un periodo di grave dissesto finanziario di molte regioni. L’autonomia regionale non ha garantito parità di trattamento e non ha nemmeno garantito dappertutto lo stesso grado di efficienza. Io penso che il governo e anche l’opposizione debbano puntare a coprire e a restringere la forbice delle diseguaglianze, però anche a responsabilizzare le comunità regionali interessate. Quindi ci sono degli aspetti che noi non possiamo sottovalutare: ci sono regioni che hanno riorganizzato la rete ospedaliera, che hanno chiuso i piccoli ospedali magari offrendo a quei territori le case della salute o altri strumenti di presidio sul territorio e ci sono regioni che invece questo processo non l’hanno organizzato. Ci sono regioni che hanno sprecato di meno e sono state più efficienti e non sto facendo un ragionamento di differenza solo tra mezzogiorno e nord del paese, però il tema dell’uguaglianza e dei divari c’è, lo dobbiamo risolvere mettendo in equilibrio responsabilità e autonomia».