«Ho sempre lavorato nel settore commerciale. Poi mio figlio si è ammalato e a 42 anni sono diventato un medico. È stata la scelta migliore che abbia mai fatto». La storia che Mark Harmon racconta sul Guardian è di quelle che sembrano uscite da un film, una di quelle alla sliding doors: chissà cosa sarebbe […]
«Ho sempre lavorato nel settore commerciale. Poi mio figlio si è ammalato e a 42 anni sono diventato un medico. È stata la scelta migliore che abbia mai fatto». La storia che Mark Harmon racconta sul Guardian è di quelle che sembrano uscite da un film, una di quelle alla sliding doors: chissà cosa sarebbe successo se. Il dramma di un bambino nato malato, il coraggio di un padre di assumersi il rischio di lasciare il proprio lavoro, l’occasione di dare una sterzata improbabile alla propria carriera, cambiando del tutto traiettoria per inseguire il sogno che da bambino teneva nel cassetto: indossare il camice bianco.
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«Sin dai primi giorni di vita di mio figlio – racconta Mark – era chiaro che avremmo affrontato molte sfide complesse. Non riesco nemmeno a raccontare lo stress fisico ed il turbamento emotivo di quelle settimane. L’unica costante era la gentilezza e la compassione mostrata dalla squadra di medici e infermieri che cercava di curare mio figlio».
Ed è proprio il costante e drammatico contatto con il personale sanitario che ha fatto riaccendere una passione da tempo sopita. «Quando mi sono ritrovato davanti all’entrata della facoltà di Medicina dell’ospedale, sono entrato e ho chiesto quale fosse l’età massima per iscriversi. Ho scoperto che non c’era e ho deciso di diventare un dottore. Non solo per mio figlio, in onore della meravigliosa assistenza che ha ricevuto nel suo breve ma difficile periodo di vita su questo mondo. Ma anche per me stesso, per continuare sempre a puntare più in alto, e non avere mai rimorsi».
Inizia quindi il suo periodo formativo all’interno del National Health Service britannico, a cui non era assolutamente preparato: «Non ho mai lavorato così tanto per guadagnare così poco e, la gran parte del tempo, con così poco supporto. Poche settimane dopo la laurea mi sono ritrovato spesso a dover affrontare da solo situazioni complicate, lavorando tre fine settimana su quattro, tenendo il cercapersone sempre acceso, all’improvviso responsabile di centinaia di pazienti, molti dei quali molto malati. Ho trovato faticoso – continua Mark – il passaggio da studente di medicina a medico e ammiravo continuamente la capacità dei miei colleghi più giovani, quasi tutti ventenni, di resistere alla pressione».
«Lavorare nel NHS negli ultimi quattro anni mi ha fatto capire quanto il sistema sanitario sia complesso, e le tantissime opportunità di miglioramento che offre. Non potrei essere più contento di potermi chiamare dottore. Nonostante gli orari infiniti, la mancanza di riposo e l’enorme carico di lavoro – conclude Mark -, mi rendo conto del privilegio di poter aiutare gli altri, come l’NHS ha aiutato, e continua ad aiutare, mio figlio. È la scelta migliore che abbia preso nella mia vita».
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