L’analgesia in travaglio è stata introdotta nei Lea il 18 marzo 2017, ma la situazione nazionale non si è modificata: «Le regioni, delegate all’applicazione delle indicazioni del piano sanitario nazionale – ha spiegato l’anestesista – non hanno provveduto ai Drg (Raggruppamenti omogenei di diagnosi)»
«Evitare il dolore laddove non necessario provarlo è sintomo di civiltà». Per questo, Marinella Astuto, anestesista, direttrice della scuola di specializzazione di Anestesia e Rianimazione dell’università di Catania e responsabile Area Materno-Infantile della Siaarti, la Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia, si schiera, accanto ad altri colleghi, affinché la partoanalgesia diventi un reale diritto per tutte le donne.
Secondo i più recenti dati diffusi dalla stessa Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia, le partorienti che possano usufruire di un’analgesia in travaglio, gratuita e istituzionalmente garantita 24 ore al giorno, non superano il 20%. «E questo – ha sottolineato la professoressa Astuto – nonostante l’analgesia sia stata introdotta nei Lea il 18 marzo 2017».
Il parto indolore è una pratica diffusa in Italia sin dai primi anni ’80, ma questi quasi 40 anni di storia, probabilmente, non sono bastati a sfatare falsi miti ed errate credenze: «Chiariamo subito – ha detto la responsabile dell’area Materno-Infantile della Siaati – che la partoanalgesia non comporta rischi aggiuntivi per la madre e il suo bambino. Le conseguenze sono quelle a cui andrebbe incontro chiunque si sottoponga ad un’anestesia epidurale e, quindi, un possibile blocco loco-regionale. È possibile praticarla in qualsiasi momento del travaglio, dall’inizio delle contrazioni fino a prima che cominci la fase espulsiva. Inoltre, non è stato scientificamente dimostrato che questa anestesia possa comportare un ritardo della dilatazione o un allungamento del travaglio. E – ha aggiunto l’esperta – seppure dovesse accadere, questo aumento dei tempi non sarebbe sintomo di inefficienza, non creerebbe complicazioni al parto».
In altre parole, la professoressa Astuto è convinta che mettendo sulla bilancia i rischi e i benefici dell’analgesia in travaglio l’ago tenderebbe a favore di questi ultimi. E allora perché la sua diffusione stenta a decollare? «Innanzitutto per la carenza di anestesisti – ha precisato l’anestesista -. Il numero di specialisti è insufficiente nei punti nascita, così come in molti altri reparti. Poi, nelle strutture dove il numero di parti non supera i 500 all’anno non è prevista la presenza di un’anestesista di guardia, figura assicurata solo laddove si superano le mille nascite. Terzo problema: non sempre esiste una sinergia con il resto del personale. Ci sono ostetriche che non accettano di buon grado la partoanalgesia. E più di recente, nonostante l’approvazione dei nuovi Lea, la situazione nazionale non è cambiata, in quanto, le regioni delegate all’applicazione delle indicazioni del piano sanitario nazionale, non hanno attuato il Drg (Raggruppamenti omogenei di diagnosi)».
Per la professoressa Astuto sono diverse le soluzioni possibili per modificare la situazione attuale: «Raggruppare, laddove geograficamente possibile, i punti nascita così da creare strutture con un numero di parti superiori ai mille e – ha aggiunto la responsabile Siaarti – rendere obbligatoria la presenza di un anestesista 24 ore su 24».
Poi investire, oltre che sulle risorse umane, anche sulla comunicazione. «La stessa Siaarti ha deciso di puntare su una diffusione capillare di queste informazioni, istituendo da quest’anno l’area Materno-infantile che presiedo. Un lavoro – ha detto Astuto – che dovrà necessariamente coinvolgere anche ginecologi e ostetrici: sono loro ad avere un rapporto di fiducia con la donna e, pertanto, i professionisti più indicati ad informarla sui benefici della partoanalgesia. Allo stesso tempo, gli anestesisti potrebbero conquistare un ruolo accanto alla neomamme prevedendo la loro presenza durante i corsi preparto».
Di strada da fare ce n’è, «ma – ha assicurato la professoressa – l’Italia non è fanalino di coda rispetto agli altri Paesi d’Europa». Ed anzi, impegnarsi per non restare indietro potrebbe contribuire a migliorare la posizione della Nazione in altri ambiti dove si è ancora troppo poco virtuosi. È il caso dei parti cesarei che, in Italia, superano il 30% , cifra molto al di sopra dei limiti fissati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. «La partoanalgesia ridurrebbe di molto anche il ricorso al parto cesareo – ha assicurato l’anestesista -. Perché, oggi, ci sono molte donne che scelgono il bisturi proprio per la paura di soffrire. Paura che potrebbe essere superata e soprattutto evitata – ha concluso Astuto – con un accesso alla analgesia in travaglio garantita per diritto a tutte le donne, in qualunque luogo d’Italia».