Si chiude oggi presso l’Università di Milano il «Second Young Gastroenterologist’s Day & “Milestones And Breakthrough In Ibd” Meeting». Due i percorsi seguiti secondo l’impostazione voluta dal Presidente del Congresso, il prof. Maurizio Vecchi, Direttore di Unità Operativa Complessa al Policlinico di Milano e della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Digerente dell’Università di Milano: […]
Si chiude oggi presso l’Università di Milano il «Second Young Gastroenterologist’s Day & “Milestones And Breakthrough In Ibd” Meeting». Due i percorsi seguiti secondo l’impostazione voluta dal Presidente del Congresso, il prof. Maurizio Vecchi, Direttore di Unità Operativa Complessa al Policlinico di Milano e della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Digerente dell’Università di Milano: anzitutto, l’approccio generale della gastroenterologia, dall’impatto dello screening del carcinoma colo-rettale in Regione Lombardia all’approccio diagnostico e terapeutico della NASH, al peso delle patologie gastrointestinali nella sanità europea. Il secondo filone è focalizzato sulle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali e sulle manifestazioni extra-intestinali sistemiche e di altri apparati. “La moderna gestione delle malattie si deve basare sull’impiego di team multidisciplinari, capaci di affrontare le molteplici necessità del paziente. Il Congresso verte quindi sulle maggiori novità in campo diagnostico e terapeutico” dichiara il prof. Maurizio Vecchi.
Alla luce dell’impostazione dell’evento, attenzione particolare è stata dedicata a una patologia spesso sottovalutata, ma che in Italia è considerato ormai dagli specialisti una vera e propria epidemia: il fegato grasso o steatosi epatica non alcolica – NAFLD.
In Italia ne è affetto circa il 30% delle persone, con picchi più elevati nel Meridione; in Lombardia una stima approssimativa è del 25-30%. “Normalmente circa il 5% degli epatociti, le cellule del fegato, contengono grasso.” – spiega Silvia Fargion, Professore ordinario di medicina interna all’Università di Milano “Nel caso del fegato grasso la percentuale è superiore”. Cause del fegato grasso sono l’alimentazione e lo stile di vita; un soggetto in sovrappeso ha una probabilità molto più elevata di sviluppare il fegato grasso. Non manca però un fattore genetico: è stato verificato che un gene l’adiponutrina, favorisce una forte predisposizione ad avere il fegato grasso. In particolari gruppi, come gli obesi o i diabetici, la patologia raggiunge una prevalenza dell’80-90%.
Per accorgersi del fegato grasso, l’approccio più semplice è quello dell’ecografia, che permette di vedere se il fegato è iper-riflettente. Per la sua diagnosi non corrisponde sempre un aumento delle transaminasi, ossia gli esami di pertinenza epatica che indicano la presenza di necrosi e questo rende più difficile l’attività dello specialista.
“Il problema del fegato grasso è la serie di correlazioni nel quadro clinico che può originare oltre agli effetti epatici” spiega la prof.ssa Fargion. “Infatti, oltre a causare steatoepatite non alcolica, la forma a maggiore probabilità di evoluzione, la cirrosi e tumore epatico, i pazienti con NAFLD sono ad elevato rischio di patologie cardiovascolari (infarto, ictus) che rappresentano la principale causa di morte”.
Il fegato grasso è una manifestazione della sindrome metabolica, una sindrome caratterizzata da sovrappeso/obesità, diabete, ipertensione, aumento dei trigliceridi, riduzione del colesterolo buono (HDL). Proprio per questo motivo nei pazienti con steatosi epatica deve essere valutato se vi sia ipertensione, dislipidemia, intolleranza glucidica/diabete. Alla base della steatosi epatica vi è resistenza all’insulina, cioè il pancreas deve produrre più insulina per mantenere la glicemia nella norma e questo a lungo andare causa diabete. I pazienti con fegato grasso hanno un rischio di sviluppare il diabete 3 o 4 volte superiore rispetto a chi non ne soffre, e il diabete gioca poi un ruolo chiave nello sviluppo dei problemi vascolari.
“L’unica terapia, ad oggi, per la steatosi epatica metabolica è un corretto stile di vita” spiega la prof.ssa Fargion. “Per un’alimentazione corretta, l’ideale rimane affidarsi alla nostra dieta mediterranea, che è povera di grassi saturi, di formaggi, salumi, dolci, mentre è ricca di frutta, verdura, legumi, pesce. È poi ovviamente indispensabile una riduzione delle calorie nel caso in cui il soggetto sia sovrappeso ed è sempre necessaria una regolare attività fisica. Sono in corso di studio diversi farmaci, ma nessuno è entrato nella pratica clinica”.
Un discorso a parte lo merita l’alcol. La steatosi infatti può essere metabolica o alcolica. Si parla di steatosi metabolica quando il soggetto consuma meno di 20 grammi di alcol al giorno nel caso di una donna,, meno di 30 per gli uomini, ossia meno di 2-3 bicchieri di vino. Se si superano questi valori non si può parlare di steatosi non alcolica. In presenza di steatosi metabolica, tuttavia, l’alcol anche in piccole dosi, ha comunque un effetto moltiplicativo, con un danno epatico molto aggravato.
“Talvolta si sostiene che piccoli quantitativi di vino possono essere una forma di prevenzione per le malattie cardiovascolari, ma uno studio recente pubblicato su Lancet riporta che l’unico quantitativo di alcol non dannosa per la salute è 0” conclude la professoressa Fargion.
Vino e alcol aggiungono danni metabolici al fegato che già è grasso e non funziona correttamente. Qualsiasi semplice uso di alcol in questi casi va quindi bandito onde evitare ulteriori complicazioni. È noto altresì che un moderato consumo di vino in soggetti normali può invece avere effetti benefici. Il consiglio per le categorie di pazienti sovrappeso, diabetici e dislipidemici è dunque quello di sottoporsi a una valutazione attenta della situazione epatica tramite ecografia per individuare questa condizione.