Il presidente A.N.S.M.I: «Durante il primo conflitto mondiale, i medici, pur di salvare vite umane, hanno fatto degli interventi che mai avrebbero osato fare in condizioni normali»
Uomini, donne, bambini. In trincea o nelle loro case. Feriti con le armi da fuoco, sfigurati, ustionati, intossicati da gas. Milioni e milioni di persone che, contemporaneamente, nel mondo, hanno lottato tra la vita e la morte. Accanto a loro medici, personale sanitario, volontari hanno lavorato incessantemente, notte e giorno, per aiutarli a sopravvivere o, almeno, per lenire le sofferenze di una fine inevitabile. È accaduto durante la Prima Guerra Mondiale, una strage che il presidente dell’Associazione Nazionale della Sanità Militare Italiana (A.N.S.M.I), Michele Anaclerico, ha definito “paradossalmente ricca di aspetti positivi”: «L’esperienza fatta sul campo, di fronte a situazioni patologiche estreme – ha spiegato Anaclerico – ha indotto i medici, pur di salvare vite umane, a fare degli interventi che mai avrebbero osato fare in condizioni normali».
Le “sperimentazioni” della Grande Guerra si sono tradotte in un progresso medico e tecnologico senza precedenti. Uno sviluppo che l’Associazione Nazionale della Sanità Militare Italiana e l’Ordine provinciale dei Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri di Roma hanno voluto ricordare attraverso un ciclo di incontri, conclusosi con il convegno “Innovazioni mediche e chirurgiche a seguito del primo conflitto mondiale”, nella cornice dell’Accademia dell’Arte Sanitaria, nei giorni scorsi a Roma. «Abbiamo scelto di concludere questo evento a Novembre – ha sottolineato Giuseppe Marceca, presidente del Convegno e membro dell’A.N.S.M.I – perché è proprio in questo mese che cento anni fa si concluse la Grande Guerra». Il 3 e l’11 novembre del 1918 vennero firmati, rispettivamente a Villa Giusti (Trieste) e a Compiègne (in un vagone ferroviario), gli armistizi tra l’Italia, gli alleati e gli imperi centrali.
«In veste di medici – ha commentato Marceca – non vogliamo celebrare un evento di guerra, ma segnalare gli elementi che sono stati innovativi da un punto di vista scientifico, seppur tra atroci sofferenze». Chirurgia plastica, anestesia, radiologia e infettivologia sono le branche della medicina protagoniste di uno sviluppo storico: «La chirurgia plastica ricostruttiva ha avuto una spinta importante anche grazie all’aiuto degli scultori – ha spiegato Giancarlo Roscio, del comitato organizzatore del Convegno e membro dell’A.N.S.M.I -. Molte ferite deturpavano i volti e per la loro ricostruzione era stato istituito un vero e proprio dipartimento di maschere facciali. Ma il problema più grosso con cui fare i conti durante la Prima Guerra Mondiale furono le infezioni: solo il 15% circa della persone moriva per una ferita diretta da arma da fuoco. Tutti gli altri – ha aggiunto Roscio – non sopravvivevano proprio a causa delle complicanze da infezione. La Prima Guerra Mondiale si è consumata in un’era pre-antibiotica e pre-sulfamidica».
È in questo periodo che nasce la famosa soluzione Dakin, dal nome di Henry Dakin, un chimico americano che aveva messo a punto un preparato a base di ipoclorito di sodio e acido borico: «Grazie a questa soluzione – ha spiegato Giancarlo Roscio – le morti post-ferita calarono di circa l’80%. Nella battaglia di Verdun, ad esempio, tra i feriti che non venivano trattati con la soluzione Dakin circa il 90% era destinato a morire, mentre tra coloro che la utilizzavano la mortalità non superava il 15%».
Ed è sempre durante questo clima di strage e devastazione che si sperimentano delle innovazioni anche in campo anestesiologico, per cercare di limitare le terribili sofferenze di soldati e civili che dovevano essere necessariamente sottoposti ad interventi chirurgici. «Durante questi anni nascono anche le prime unità mobili radiologiche di Curie», ha aggiunto Roscio. È celebre, infatti, l’impegno di Madame Curie durante la Prima Guerra Mondiale che, insieme alla figlia Irene, si adoperò per allestire sedi mobili e distaccate con i primi apparecchi radiologici portatili e fissi, il più vicino possibile ai campi di battaglia.
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Con la fine della guerra, però, non è arrivata anche la fine della devastazione: «La carestia, la povertà alimentare, lo spopolamento delle campagne hanno causato una grave crisi sociale in tutti gli Stati coinvolti – ha spiegato Pierluigi Mottironi, del comitato organizzatore del Convegno e membro dell’Associazione Nazionale della Sanità Militare Italiana -. Si è sviluppata la più grande epidemia mondiale di influenza Spagnola, che causò 20 milioni di morti, ben di più di quelli della Prima Guerra Mondiale. Un’altra sfida importante per personale medico e sanitario».
Ma gli aspetti paradossali del binomio “Grande Guerra-progresso medico” fanno parte anche della storia più recente: «Un esempio emblematico è il genocidio del Ruanda, la strage tra Tutsi e Hutu (che consumatasi dal 6 aprile alla metà di luglio del 1994, per circa 100 giorni, ha provocato il massacro di una cifra stimata tra le 800 mila e il milione di persone, ndr). Durante questo conflitto – ha detto Michele Anaclerico – alcuni dei feriti sono stati trasportati all’ospedale militare italiano del Celio, dove sono stati effettuati degli interventi di chirurgia plastica ricostruttiva e di ortopedia molto avanzati, che hanno consentito il progresso dei nostri specialisti. In altre parole – ha concluso il presidente dell’Associazione nazionale della Sanità Militare Italiana – in tutti gli eventi bellici, inutilmente catastrofici, del passato, del presente e del futuro, ci sono stati e ci saranno sempre degli enormi progressi legati proprio alla straordinarietà degli accadimenti».